US Open 19 per Novak Djokovic, il GOAT della Serbia che per mezza Belgrado non è più un eroe
- Postato il 21 agosto 2025
- Di Virgilio.it
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Novak Djokovic arriva a New York con una posta altissima: l’ultimo assalto al record dei 25 Slam, nel torneo che ha già raggiunto dieci volte in finale e vinto in quattro occasioni. A 38 anni, senza aver disputato singolari ufficiali dopo la semifinale persa a Wimbledon, il serbo ha saltato i tradizionali appuntamenti estivi di Toronto e Cincinnati per concentrare tutto sul cemento di Flushing Meadows.
È la scelta di un campione che sente il fiato del tempo ma non rinuncia alla grande scommessa, anche a costo di giocarsela con il serbatoio mezzo vuoto, come lui stesso ha ammesso parlando della fatica crescente nel colmare il gap con i più giovani.
- US Open, tabellone e “fattore Nole”
- Macci: “Mai escludere Djokovic, ma il tabellone deve aiutarlo”
- Cosa ci dicono gli ultimi dodici mesi di Djokovic
- Dallo sport alla politica: la campagna denigratoria contro Djokovic
- Djoko e le Istituzioni serbe: dagli osanna alle invettive
- La mossa ATP: da Belgrado ad Atene
- Cosa sta accadendo in Serbia: il contesto delle proteste
- E adesso, New York
US Open, tabellone e “fattore Nole”
La narrativa è chiara: contro Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, oggi fari della nuova generazione, Djokovic resta nel pacchetto dei favoriti per rendita acquisita ma senza lo status blindato di un tempo. Gli ultimi 18 mesi gli hanno portato “solo” due titoli: l’oro olimpico di Parigi 2024 e l’ATP 250 di Ginevra 2025 (il suo titolo numero 100), un bottino che racconta di una gestione selettiva degli sforzi. Inoltre, dopo la bruciante uscita al terzo turno contro Alexei Popyrin agli US Open 2024, a New York Nole partirà da testa di serie n. 7, con la concreta possibilità di imbattersi in Sinner o Alcaraz già ai quarti. Sono dettagli che incidono, al pari della tenuta fisica su due settimane.
Nel ranking dei cinque principali candidati, i nomi sono quelli attesi: Sinner, Alcaraz e Djokovic compongono il triangolo centrale della corsa, con altri outsider a riempire il quadro. E non va dimenticato un dato: ci sono solo due tennisti al mondo che nel 2025 hanno raggiunto le semifinali negli Slam stagionali. Uno è Jannik Sinner, l’altro è proprio lui, Novak Djokovic. Alcaraz ha due finali, sì: ma agli Australian Open si è fermato ai quarti. Battuto da chi? Proprio da Nole.
Macci: “Mai escludere Djokovic, ma il tabellone deve aiutarlo”
Rick Macci, storico coach statunitense che ha lavorato con Serena e Venus Williams, non chiude affatto la porta a un colpo di coda, un ultimo Slam: “Non si può mai escludere il ‘cecchino serbo’, l’uomo di gomma, per me il più grande di sempre”, spiega a Tennis365. Però inserisce due condizioni-chiave: non sulla terra (“troppo dura fisicamente, tre su cinque”), e soprattutto con un tabellone che non lo costringa a maratone continue e, chissà, con qualche imprevisto lungo la strada dei big rivali. Se “gli incastri” lo favorissero, per Macci Nole potrebbe ancora vincere gli US Open, ma passare attraverso Alcaraz e Sinner, dopo match dispendiosi, sarebbe “una scalata davvero troppo dura”.

Testa allo Slam, cuore in Serbia: la strana partita doppia di Djokovic, giunto al 19esimo US Open della carriera
Cosa ci dicono gli ultimi dodici mesi di Djokovic
Il quadro tecnico conferma l’altalena: a Wimbledon 2025 e a Parigi Djokovic ha ceduto in semifinale in tre set, entrambe contro Sinner; all’Australian Open si era ritirato in semifinale contro Zverev al termine di un primo set perso 7-6. Sul medio periodo, l’andamento parla di frequenti piazzamenti altissimi ma di un ultimo trionfo Slam che risale al 2023, proprio a New York. Tradotto: competitività intatta nei grandi appuntamenti, ma margini più sottili quando il livello si alza e la benzina scende.
Dallo sport alla politica: la campagna denigratoria contro Djokovic
Mentre prova a ricacciare il tempo in tasca a Flushing Meadows, in patria Djokovic è diventato bersaglio di un fuoco di fila mediatico-politico. La frattura con il potere nasce dalla sua solidarietà agli studenti che protestano contro il governo di Aleksandar Vucic: un sostegno espresso con post pubblici, gesti in campo e prese di posizione che hanno rotto l’armonia di anni tra “l’eroe nazionale” e le istituzioni.
E suona molto strano per Djokovic, vista la sua manifesta vicinanza al nazionalismo serbo (e Vucic è espressione del populismo nazionalista di destra): è stato fotografato con figure coinvolte nel genocidio di Srebrenica e con il leader secessionista serbo-bosniaco Milorad Dodik. In più occasioni ha messo in discussione l’indipendenza del Kosovo con lo slogan nazionalista “Il Kosovo è Serbia”, mandando in visibilio le forze nazionaliste: è la parola d’ordine della destra serba dalla sconfitta nelle guerre balcaniche. Ha anche intercettato i favori del populismo complottista, rifiutando la vaccinazione Covid.
Ma soprattutto, Nole condivide molte idee con Vucic, leader nazionalista-populista di destra: tant’è che lo stesso Vucic, poco più di un anno fa, ha annunciato la costruzione di un Museo dedicato a Nole, allora fresco vincitore dell’oro olimpico di Parigi 2024: “Palma de Maiorca ha un Museo dedicato a Rafael Nadal, e noi intendiamo mostrare tutti i meriti di Djokovic e di quello che ha fatto per il nostro Paese, attirando al tempo stesso i turisti”, aveva dichiarato. Ma qualcosa, da allora, si è incrinato.
Djoko e le Istituzioni serbe: dagli osanna alle invettive
Secondo quanto ricostruito anche dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, il cambio di clima è netto: non direttamente dalla voce del presidente, ma dall’orbita a lui vicina, a cominciare dal tabloid filogovernativo Informer, che ha dipinto Djokovic come “vergogna” e “falso patriota”. L’origine dello strappo?
Il sostegno ripetuto agli studenti – anche con la celebre esultanza “pump it” a Wimbledon, letta da molti come richiamo allo slogan di piazza “Pumpaj” (l’espressione degli studenti che significa che stanno mettendo pressione al governo), poi spiegata dal giocatore come un omaggio musicale; oltre a questo anche una serie di segnali che lo allontanano (anche simbolicamente) da Belgrado.
Ma qualunque fosse l’intenzione, in Serbia non è stata affatto gradita: le parole “pump it” dopo la partita con Kecmanovic non sono state tradotte durante la diretta sul canale sportivo serbo Arena Sport, mentre l’emittente statale RTS ha interrotto completamente la trasmissione. Il momento è stato immortalato e condiviso sull’account ufficiale di Wimbledon su X, ma non è mai arrivato al pubblico serbo.
La macchina mediatica di area governativa ha quindi progressivamente “oscurato” Djokovic: prima censurando perfino i riferimenti di alcuni bambini al suo appoggio alle proteste: in diretta TV Vucic ha, volutamente, saltato il riferimento a Nole nella letterina di un bimbo di 8 anni, non leggendo ad alta voce la frase “Mi piace molto il tennista di fama mondiale Novak Djokovic”.
Non solo: i media governativi hanno alimentato insinuazioni sulle origini kosovare di Djokovic e sull’evergreen della residenza a Montecarlo. Nel frattempo Nole non ha arretrato: ha difeso gli studenti su X, ha ripetuto in pubblico i loro gesti durante i tornei e ha indossato la felpa “Students are champions” sugli spalti del derby Stella Rossa-Partizan. In controluce resta la domanda: quanto può spingersi un governo populista nel colpire un’icona che, per molti serbi, sta sopra ogni appartenenza politica?
La mossa ATP: da Belgrado ad Atene
Il fronte sportivo si è intrecciato alla geopolitica con la decisione di traslocare la licenza ATP 250 (acquisita nel 2021) da Belgrado ad Atene: scelta annunciata in piena estate e letta in Grecia e Serbia come una risposta al clima interno.
Il torneo – ribattezzato Hellenic Championship – si giocherà dal 2 all’8 novembre all’OAKA Olympic Arena, con la famiglia Djokovic in cabina di regia. Le spiegazioni ufficiali sono rimaste prudenti, ma il segnale è evidente: un allontanamento organizzativo dalla capitale serba nel pieno della crisi.
Non è un caso, allora, che nel frattempo Djokovic si sia incontrato due volte in pochi mesi con il premier greco Kyriakos Mitsotakis – l’ultima volta sull’isola di Tinos, ad agosto – alimentando le indiscrezioni su un trasferimento ad Atene mediante il programma di “Golden Visa”. I contatti per possibili investimenti sono confermati, mentre lo stesso Djokovic ha frenato su un trasloco familiare immediato (“non è in programma ora”, ma “potrebbe accadere”), lasciando però aperti spiragli che raccontano molto del momento.
Cosa sta accadendo in Serbia: il contesto delle proteste
Dall’autunno scorso il Paese è attraversato da manifestazioni sempre più dure. Tutto è esploso dopo il crollo della tettoia alla stazione di Novi Sad a inizio novembre costando la vita a 16 persone, episodio che ha scosso l’opinione pubblica e innescato una mobilitazione capillare, soprattutto studentesca, contro corruzione e nepotismo.
Da lì gli scontri sono degenerati: centinaia di fermi, uso massiccio della forza, dispiegamento di reparti speciali e la presenza di “lealisti” filogovernativi in piazza. Il quadro tratteggiato dagli analisti è quello di una democrazia in irrigidimento, con media schierati, polarizzazione crescente e scarse risposte dall’Unione Europea, a fronte del sostegno (esplicito) di Mosca a Belgrado.
E adesso, New York
Il paradosso è tutto qui: mentre a casa sua il mito viene contestato, negli Stati Uniti Djokovic torna a giocarsi la definizione della propria eredità sportiva. Le chance ci sono, ma passano da un mix delicatissimo: gestione dei carichi, tabellone favorevole, tempi di recupero rapidi e, soprattutto, la capacità di schermarsi dal rumore esterno. Il tennis, per una volta, è la parte semplice; quello che succede intorno, molto meno.