Usa, assalto alla petroliera: escalation contro Maduro
- Postato il 12 dicembre 2025
- Esteri
- Di Libero Quotidiano
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Usa, assalto alla petroliera: escalation contro Maduro
È alla stretta finale l’accerchiamento che l’amministrazione Trump sta conducendo nei confronti del regime venezuelano di Nicholas Maduro. E il segnale che il conto alla rovescia è iniziato potrebbe essere il sequestro che le truppe aviotrasportate Usa hanno compiuto mercoledì ai danni di una petroliera già più volte sanzionata per trasporto illegale di greggio per conto dello stesso Venezuela e della Russia. La nave, facente parte della cosiddetta “flotta fantasma” che naviga coi trasponder spenti e le cui unità cambiano di continuo nome, registrazione e persino colorazione dello scafo per sfuggire ai controlli delle autorità marittime internazionali, è stata fermata nel Mar dei Caraibi, diretta probabilmente verso la Russia o la Cina, i due clienti principali dell’industria petrolifera venezuelana. La stretta americana era iniziata alcune settimane fa con l'affondamento di un numero di grossi motoscafi dei narcos e con l’arrivo nei Caraibi di un numero crescente di navi militari, aerei da caccia, bombardamento e sorveglianza radar, oltre che di truppe. Ma, anche dopo l’ultimatum rivoltogli da Trump di lasciare il Paese entro il 28 novembre, l’autocrate di Caracas aveva fatto spallucce, respingendo persino il salvacondotto che l’amministrazione Usa aveva offerto a lui e alla sua famiglia.
Il presidente Usa e i suoi si sono dati qualche giorno, prima di calare le nuove carte sul tavolo da gioco: il trasferimento della leader in pectore dell’opposizione a Maduro, Maria Corina Machado, dal suo rifugio segreto negli Usa a Oslo per la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace, in occasione della quale ha pronunciato un discorso incendiario contro il dittatore venezuelano. E l’attacco, con successivo sequestro, ai danni di una delle petroliere che tengono in vita il regime. L’economia del Venezuela si regge, infatti, quasi esclusivamente sull'esportazione di greggio. Dopo le ultime elezioni di cui si è proclamato illecitamente vincitore, Maduro ha visto le entrate derivanti dal petrolio ridursi al lumicino in conseguenza delle sanzioni internazionali contro il suo governo. Tuttavia, si calcola che il regime riesca ancora a esportare tra i 450mila e i 700mila barili di petrolio al giorno, con entrate tra i 20 e i 30 milioni di dollari al giorno. Un flusso di cash giudicato essenziale, considerato che la disponibilità di moneta estera sarebbe al di sotto del miliardo di dollari, per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, del personale politico e, soprattutto, dei militari, oltre che per importare beni di prima necessità. Bloccare questo rivolo significa bloccare il Paese e, di conseguenza, mandare a picco Maduro, che si troverebbe contro anche la parte del Venezuela che ancora lo sostiene. Un crollo che, secondo fonti americane, potrebbe avvenire in 6-12 settimane, senza che gli Usa sparino un solo colpo, qualora a Maduro e soci non arrivasse un aiuto dall’estero. Ma ciò costerebbe ad alleati come la Russia e la Cina centinaia di milioni di dollari al mese. Un esborso che, di fatto, annullerebbe il solo motivo per cui Mosca e Pechino hanno fin qui sostenuto il Venezuela: godere di una fornitura di petrolio a prezzi stracciati rispetto a quelli di mercato.
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Ieri, poche ore dopo il sequestro della petroliera per mano statunitense, Vladimir Putin ha telefonato al presidente venezuelano per esprimergli «solidarietà e sostegno di fronte all’aggressione straniera» e ribadire la collaborazione tra i rispettivi Paesi. Ma lo Zar sa di non potersi esporre troppo su quel fronte contro Trump, se vuole continuare a godere della sua mediazione nel percorso intrapreso per porre fine al conflitto in Ucraina. La misura dell’isolamento del regime l’ha data, sempre ieri, la vice di Maduro, Delcy Rodriguez, che ha lanciato un appello formale ai governi di Colombia, Messico e Brasile perché formino un fronte comune contro quella che ha definito «una minaccia all’intera regione latino americana». La sola replica è arrivata da Bogotà, dove il presidente Gustavo Petro non ha escluso la possibilità di offrire asilo al dittatore. Segno che, anche per i suoi amici, l’ex uomo forte di Caracas ha ormai i giorni contati.
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