Usa, tribunali locali e Corte Suprema si scontrano sullo ius soli. Giudice del New Hampshire blocca (di nuovo) l’ordine di Trump

  • Postato il 10 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Donald Trump contro i giudici. Giudici contro i giudici. In particolare, giudici di corti inferiori contro la massima istanza giudiziaria USA, la Corte Suprema. Da un tribunale del New Hampshire, da un giudice nominato da George W. Bush, arriva un ordine che riapre la questione dello ius soli e dei poteri di Donald Trump. Joseph N. Laplante, giudice distrettuale di Concord, ha nuovamente bloccato l’ordine esecutivo del tycoon che mette fine alla cittadinanza per nascita per i figli di genitori illegali. L’ordine aveva ricevuto un parziale via libera da parte della Corte Suprema, lo scorso 27 giugno. La maggioranza conservatrice della Corte aveva in particolare enormemente allargato i poteri di Trump, alimentando le preoccupazioni per la deriva autoritaria dell’amministrazione. Dal New Hampshire arriva ora una decisione che rimette in gioco tutto e che mostra ancora una volta come siano i tribunali inferiori a rappresentare un, almeno parziale, argine all’azione di Trump.

Per capire quanto sta succedendo bisogna tornare alla clamorosa sentenza del 27 giugno. Oggetti del caso erano alcune ingiunzioni emesse dai tribunali inferiori che bloccavano l’ordine di Trump sulla cittadinanza. La maggioranza conservatrice della Corte Suprema non si pronunciava direttamente sull’ordine. Non decideva, in altre parole, se Trump avesse il diritto di limitare il 14esimo Emendamento che ha sinora permesso di attribuire la cittadinanza a chiunque nasca sul suolo americano. Quello che la Corte faceva era affermare che una sentenza di una corte inferiore non può valere su tutto il territorio nazionale, ma solo nel distretto giudiziario in cui la corte opera. La sentenza era di straordinaria importanza per due ragioni. Anzitutto, in attesa di un pronunciamento definitivo sulla questione dello ius soli, la Corte creava una cittadinanza “a macchie”. Nei distretti giudiziari dove un tribunale ha bloccato l’ordine di Trump, il diritto di cittadinanza vale per tutti. Dove nessuno si è rivolto a un tribunale, la cittadinanza non viene riconosciuta ai figli di illegali. Oltre al caos su una questione fondamentale per la vita di uno Stato, la sentenza era clamorosa per un’altra ragione. Toglieva ai tribunali inferiori il potere di bloccare, a livello federale, le decisioni del presidente. Allargava a dismisura i poteri di Trump che infatti accoglieva con entusiasmo e grida di vittoria la decisione.

La sentenza dei giudici, redatta da Amy Coney Barrett, lasciava una sola via d’uscita a chi volesse opporsi a Trump. La class action. Secondo la Corte, l’ingiunzione di un giudice distrettuale vale su tutto il territorio nazionale solo in presenza di una class action, quindi di un’azione legale collettiva. È quello che è successo e che ha permesso al giudice Laplante di bloccare di nuovo l’ordine di Trump. Poche ore dopo la sentenza del 27 giugno, l’American Civil Liberties Union (ACLU) ha infatti presentato un ricorso sostenendo che tutti i bambini nati negli Stati Uniti dopo il 20 febbraio, e i loro genitori, costituiscano una “classe” i cui diritti sono stati violati dall’ordine di Trump. “Oggi, per le famiglie americane, la cittadinanza per diritto di nascita rappresenta la promessa che i loro figli possano realizzare appieno il loro potenziale come americani – scrive nel ricorso l’ACLU – Significa che i bambini nati qui possono sognare di diventare medici, avvocati, insegnanti, imprenditori o persino presidenti, Sogni che verrebbero preclusi se la loro cittadinanza venisse revocata in base allo status dei genitori”.

Proprio in quanto class action, quindi non limitato a un caso particolare, il giudice Laplante ha accettato il ricorso dell’ACLU e vanificato, quanto meno temporaneamente, il tentativo di Trump di disfarsi dello ius soli. È un nuovo episodio nello scontro sempre più furibondo, senza esclusione di colpi, tra la magistratura Usa e il presidente riluttante a piegarsi alle sentenze. Uno scontro che pare ora esplodere anche all’interno del mondo giudiziario, con la pesante, eclatante messa in discussione di una sentenza della Corte Suprema.

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