Valter Mainetti: «Il Ponte sullo Stretto non è solo un’infrastruttura, è un banco di prova per il Paese»
- Postato il 31 ottobre 2025
- Di Panorama
- 2 Visualizzazioni
 
                                                                            
La decisione della Corte dei Conti di sospendere l’iter del Ponte sullo Stretto di Messina ha riacceso il dibattito su un tema che accompagna da oltre mezzo secolo la storia economica e politica italiana: il rapporto tra visione e burocrazia, tra ambizione infrastrutturale e vincoli normativi. Da un lato l’esigenza, legittima, di garantire trasparenza, sostenibilità finanziaria e coerenza amministrativa; dall’altro la necessità di dimostrare che l’Italia è ancora capace di pensare e realizzare opere di scala nazionale.
Tra le voci intervenute dopo la decisione della magistratura contabile c’è quella di Valter Mainetti, amministratore delegato di Condotte 1880, che sceglie la via della riflessione più che della polemica. «Ho appreso la notizia solo ieri sera, come molti altri, e devo dire che mi ha molto colpito», racconta. «Ritengo però opportuno attendere i chiarimenti che la Corte ha promesso di fornire entro un mese. È un passaggio importante, che potrà fare chiarezza e consentire di individuare il modo migliore per procedere».
Pur mantenendo un tono prudente, Mainetti non nasconde la sua preoccupazione per le possibili conseguenze di un blocco prolungato. «Se l’operazione dovesse restare ferma, per l’Italia sarebbe un segnale negativo. Non solo per i 13,5 miliardi di investimento, che non rappresentano una cifra eccessiva, ma per il messaggio che darebbe: quello di un Paese che fatica a portare a termine i propri progetti strategici».
L’imprenditore richiama anche un ricordo personale che restituisce la misura di un paradosso nazionale. « Tanti anni fa quando ero a San Francisco e osservavo il Golden Gate Bridge, mi sentivo chiedere con ironia quando l’Italia avrebbe costruito il suo ponte sullo Stretto. All’epoca non immaginavo quanto la burocrazia potesse incidere. Oggi capisco che l’equilibrio tra controllo e decisione è ciò che davvero determina la capacità di un Paese di crescere». Da qui, una riflessione più ampia sullo stato dell’imprenditoria italiana: «Le nostre imprese affrontano un sistema normativo complesso, fatto di ricorsi e procedure che si sovrappongono. Non è un problema di legalità, ma di efficienza. Le regole devono accompagnare i progetti, non rallentarli». A fronte di queste difficoltà, Mainetti osserva che in molti contesti internazionali il processo decisionale appare più fluido: «All’estero, si lavora con maggiore linearità. Le procedure sono più chiare, i tempi più rapidi. Ciò non significa abbassare i controlli, ma renderli compatibili con la necessità di agire».
Da qui nasce anche il suo apprezzamento per il “Piano Mattei”, che considera «una visione intelligente e coerente con la nostra tradizione industriale». «Mattei fu un pioniere della cooperazione economica. Cercò rapporti di reciproco vantaggio con i Paesi emergenti e promosse un’idea di sviluppo condiviso. È un modello da riscoprire». Poi Mainetti cita il Marocco come esempio di capacità realizzativa. «È un Paese che ha saputo pianificare e costruire con rapidità: infrastrutture, autostrade, aeroporti. È la dimostrazione che, con una governance efficiente, i risultati arrivano». Un riferimento, il suo, più evocativo che comparativo, ma utile a ribadire quanto la tempestività delle decisioni resti un elemento centrale dello sviluppo. Sul fronte finanziario, l’amministratore delegato riconosce le difficoltà che attraversano il settore delle costruzioni italiane. «Le banche oggi sono più caute, ma non mancano strumenti alternativi. La Banca Mondiale, la SACE e la diplomazia economica italiana possono sostenere i progetti strategici, compensando le rigidità del credito tradizionale». E proprio qui, nel rapporto tra fiducia e regole, Mainetti individua la chiave per superare la fase di incertezza. «Il Ponte sullo Stretto non è solo un’infrastruttura: è un simbolo della nostra capacità di credere nel futuro. Fermarlo definitivamente significherebbe rinunciare a un’idea di Paese che guarda avanti. Ma ogni grande progetto deve anche saper rispettare le regole del suo tempo. È da questo equilibrio che si misura la maturità di una nazione».
 
                         
                     
                                                                                                         
                            