Vi prego, smettetela di santificare il pranzo della domenica
- Postato il 1 ottobre 2025
- Di Il Foglio
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Vi prego, smettetela di santificare il pranzo della domenica
La candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’Unesco è una cosa seria e sensata: tutti noi che non abbiamo abbandonato questo paese siamo rimasti principalmente per il cibo. C’è poco da fare: in Italia si mangia meglio, e questa è una Repubblica fondata sul Lavoro – e quel lavoro è cucinare. Lungi da me dunque sabotare questa importante campagna, ma proprio perché vi aderisco con entusiasmo, critico ferocemente l’iniziativa del governo (ministero dell’Agricoltura e ministero della Cultura) e dell’Anci, che per sostenerla domenica 21 settembre ha organizzato l’iniziativa “Il pranzo della domenica”, con tavolate in alcune delle principali piazze italiane e massiccia copertura mediatica – alle cronache è passata la partecipazione di Giorgia Meloni al pranzo di Roma ai piedi del Colosseo, durante il quale si è collegata con Rai1 per parlare delle celebri pastarelle, sulle quali stenderei dello zucchero a velo pietoso.
In quell’occasione, la premier ha sottolineato come il pranzo della domenica sia tradizionalmente legato all’istituto della famiglia, dove questo pasto si consuma come una sorta di rito laico. Io capisco il familismo del governo in carica – come sappiamo, Meloni ha preso i suoi pranzi della domenica e li ha trasformati in Consiglio dei Ministri, ma di tutte le incarnazioni della cucina italiana, proprio il pranzo della domenica si doveva scegliere come volano? Si tratta della faccia peggiore della nostra enogastronomia, il pasto che ti manda di traverso anche il più prelibato manicaretto!
Il pranzo della domenica è infatti quell’appuntamento orrendo dove si consumano le peggiori tensioni, quelle famigliari appunto: rancori, biasimi, imbarazzi, sensi di colpa, liti furibonde, domande invadenti su figli o matrimoni o anche solo fidanzamenti, lotte intestine per l’eredità di nonna, coming out di figli gay accolti con svenimenti, e chi più ne ha più ne metta perché “ogni famiglia è infelice a modo suo” (semicit. Tolstoj). Per non parlare dell’apporto alimentare del pranzo della domenica in famiglia: quintali di cibo servito in portate pantagrueliche (antipasto, primo, secondo, contorni e dolce) prive di alcun bilanciamento, da mangiare tutto possibilmente leccando pure il piatto se non si vuole incorrere in bronci colossali o accuse di disturbi alimentari, accompagnato di solito con del vino osceno servito a temperatura sbagliata, e dove tutto è troppo, dal sale all’olio alle ore che passi seduto a quella tavola assieme ai tuoi consanguinei, quindi manco a dire che rimorchi – un tempo almeno fra cugini ci si accoppiava, adesso per la paura che poi ti nasca un figlio scemo manco più quello, come se i figli fatti con gli estranei fossero poi tanto più intelligenti.
Nessuno ha voglia di andare al pranzo della domenica, mai: è una iattura, uno stress, la prima causa di ernia iatale – oltre che di colesterolo e grasso superfluo. Se davvero si vuole promuovere la cucina italiana, sarà meglio presentare all’Unesco le sue declinazioni migliori: la cena fuori, la colazione al bar, la gita in trattoria, il pranzo al mare, la spaghettata a mezzanotte, la pizzata con gli amici. Tutto è meglio del pranzo delle domenica, persino il tramezzino al volo mangiato quando non hai tempo di mangiare – che più vai di corsa, e più il tramezzino è buono. Perché ok il patrimonio immateriale, ma poi quando si tratta di mangiare si va sempre sul materiale – sperando di non spenderci un patrimonio.