“‘Vi raggiungo quando finisce’, disse papà uscendo dalla porta. Avevo 8 anni ma capivo che c’era qualcosa di strano. La vita della nostra famiglia si è sgretolata in milioni di pezzi”
- Postato il 28 ottobre 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Vi raggiungo quando finisce”. Queste sono le ultime parole che Gabriele Paparelli ha sentito pronunciare da suo padre, quel tragico 28 ottobre di 46 anni fa. Vincenzo Paparelli, tifoso della Lazio, morì poche ore dopo colpito da un razzo all’Olimpico, in occasione del derby di Roma. Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, il figlio oggi 54enne ha ricordato quel giorno che ha “sgretolata in milioni di pezzi” la vita della sua famiglia. E anche le devastanti conseguenze di quella violenza, che ancora oggi non viene condannata abbastanza fermamente, come purtroppo testimoniano le tristi scritte che ogni tanto compaiono sui muri di Roma: “Una vergogna. Sono sempre meno, ma giro ancora con uno spray sotto il sedile per cancellarle”.
Il ricordo di Gabriele Paparelli è tremendamente vivo: “Abitavamo a Boccea, in una palazzina dove c’erano zii e cugini. Io volevo vedere il derby. Lui mi disse che mi avrebbe portato ‘la prossima volta’. Sì, ‘la prossima volta…’. Me le ricordo ancora quelle parole”. Una prossima volta non c’è mai stata: “Quel giorno rinunciò a un compleanno a Valmontone per andare all’Olimpico. ‘Vi raggiungo quando finisce’, disse lui, uscendo dalla porta“. Paparelli era un bambino, ma di lì a pochi cominciò a capire che era successo qualcosa di grave: “Io avevo 8 anni, ma avevo capito che c’era qualcosa di strano“.
“Nel pomeriggio i vicini di casa mi portarono al lunapark, ma avevo già intuito”, prosegue il racconto. La sera invece ci fu la presa di coscienza di quello che era accaduto: “La vita della nostra famiglia non è stata più la stessa. Si è sgretolata in milioni di pezzi”. Gabriele Paparelli sottolinea un dettaglio importante: “Mia madre era con lui quando morì: gli estrasse il razzo dall’occhio provocandosi un’ustione. Aveva 29 anni, cadde in una depressione da cui non si è mai ripresa totalmente. Ha tentato più volte il suicidio. Io e mio fratello, che non c’è più da anni, siamo cresciuti col terrore di tornare a casa e non trovarla più. Non abbiamo avuto un’infanzia semplice: io andai da una zia, lui da un’altra. Ci hanno protetti”.
Infine un ricordo di Vincenzo Paparelli padre: “Un uomo che ha sempre messo al primo posto la famiglia. Aveva un’officina, amava il suo lavoro, gli piaceva giocare a tennis, pescare e andare in bicicletta, ma la sua passione era la Lazio“. In tribuna all’Olimpico sventola da anni un bandierone con il volto di Vincenzo Paparelli. Per il figlio è un mix di “orgoglio e dolore”, ma racconta: “Sono felice che renda mia figlia così fiera. Ha 13 anni, è tifosissima della Lazio, qualche anno fa andò allo stadio insieme al nonno materno e vide la bandiera. Quando rientrò mi chiese come mai Vincenzo fosse lì, tra i tifosi. Le spiegai tutta la storia per filo e per segno, Papà vive attraverso queste cose”.
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