Via libera definitivo al decreto sicurezza, ma si sfiora la rissa

  • Postato il 5 giugno 2025
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Via libera definitivo al decreto sicurezza, ma si sfiora la rissa

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C’è il via libera definitivo al decreto sicurezza ma i parlamentari dell’opposizione protestano in aula e si sfiora la rissa


Il dl Sicurezza diventa legge in un’Aula del Senato ad alta tensione: la sua approvazione definitiva dopo il sì della Camera il 29 maggio scorso, taglia il traguardo tra aspre proteste – si è sfiorata perfino la rissa – e il primo sit-in della legislatura da parte delle opposizioni. Palazzo Madama ha confermato la fiducia chiesta dal governo, con 109 voti favorevoli, 69 contrari e un’astensione, dopo che non era stata esaminata neppure una delle 131 proposte di modifica. La premier Giorgia Meloni ha tirato dritto attraversando imperturbabile la bufera di proteste, ed ha parlato di un «passo decisivo» compiuto dal governo, «per rafforzare la tutela dei cittadini, delle fasce più vulnerabili e dei nostri uomini e donne in divisa».

Il Guardasigilli Carlo Nordio ha chiarito che alcuni dei reati introdotti «colmano vuoti normativi, come ad esempio quello dell’occupazione delle case. Sono diventati reati perché esprimono delle violazioni gravi che non hanno niente a che vedere col dissenso pacifico e costituzionalmente protetto. Imbrattare i muri non ha niente a che vedere col distribuire i volantini, ad esempio. Le pene poi, aggiungo, sono molto modulate, non è che siano eccezionalmente severe“, ha aggiunto il ministro. Ad esultare, anche il vicepremier Matteo Salvini che nel decreto sicurezza ha impresso uno dei suoi cavalli di battaglia: «Da ministro, da genitore e da segretario della Lega sapere che ci sono più poteri e tutele per le forze dell’ordine, ci sono gli sgomberi immediati per le case occupate abusivamente è un bene», afferma.

Parole che arrivano dopo mesi di tensioni, anche nella maggioranza. Del resto l’iter del provvedimento è stato irto di ostacoli: dai rilievi mossi dal Quirinale quando ancora era un disegno di legge – il cosiddetto pacchetto sicurezza – a tutta la fase che ha portato alla trasformazione del testo in decreto. Una mutazione sotto un’altra veste formale, ma con contenuti pressoché uguali, e per questo ancora osteggiato da giuristi, avvocati e magistrati. E la battaglia politica contro il pacchetto di norme che introduce 14 nuove fattispecie di reati e 9 aggravanti, non è per nulla finita: Pd, M5s e Avs sono pronte a scendere in piazza denunciando «l’umiliazione del Parlamento».

Un’onda di proteste che prosegue sulla scia degli ultimi mesi, con l’astensione dell’Unione Camere penali a maggio, e le manifestazioni – la scorsa settimana – in ben 10 atenei da parte dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale. Oltre 200 docenti hanno ribadito come il provvedimento preveda condotte «nella quasi totalità dei casi, espressive di marginalità sociale o di forme di manifestazione del dissenso, con interventi che risultano per diversi profili di dubbia compatibilità con svariati principi costituzionali, compresi quelli di necessaria offensività, sussidiarietà e proporzione». In 39 articoli il decreto sicurezza riscrive diversi articoli del codice penale e di procedura penale, prevedendo nuovi reati che spaziano dalla resistenza passiva alla ribattezzata dalle opposizioni ‘norma anti Gandhi’, fino al nuovo regime per le detenute madri e alle cosiddette norme ‘anti No-Tav e anti No-Ponte’.

Anche sul fronte aggravanti si aggiungono fattispecie, come quella prevista per i reati commessi nei pressi delle stazioni ferroviarie o delle metropolitane o quelle relative alle truffe a danno degli anziani. Il presidente dell’Anm Cesare Parodi che ha fatto in questi mesi rilievi di merito, torna ora a criticare il metodo: «ci siamo sorpresi di vedere un provvedimento che era oggetto di una lunga discussione in Parlamento da più di un anno che a un certo punto all’improvviso diventa urgente con un testo definitivo similissimo a quello originario».

Rilievi mossi da più parti, fino allo scontro di ieri a Palazzo Madama: uno dei punti di massima tensione si è raggiunto durante l’intervento del senatore di FdI e presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni. Dal Pd e M5s sono scesi dai banchi urlando in direzione degli scranni della maggioranza, dopo le parole di Balboni: «Per chi propugna la dottrina Salis e porta in Parlamento chi predica le occupazioni abusive, capisco che vogliate stare dalla parte della criminalità».

Poi il flash mob delle opposizioni a cui non ha partecipato Italia viva, che dichiarando la sua totale contrarietà al provvedimento ha rivendicato una postura istituzionale. Anche Azione ha adottato la stessa linea, ma il leader Carlo Calenda poco prima, nella bagarre dell’emiciclo, si era scagliato contro Balboni: «a me non dai del criminale organizzato, se vuoi fare il fascista di Colle Oppio ci vediamo a Colle Oppio». Ma quello che si è visto ieri con il decreto sicurezza è forse solo il primo tempo di un film d’azione alla ‘Fight Club’ che proseguirà con la separazione delle carriere, attesa in Aula per il prossimo 11 giugno.

L’arco delle forze che si oppongono al governo chiede tempo per esaminare ancora il provvedimento che modifica la Costituzione. Si chiede uno slittamento a settembre che, a Palazzo Madama, è improbabile venga accolto tout court dalla maggioranza. Il capogruppo FdI, Lucio Malan sottolinea che il lavoro effettuato in commissione, «essendo fatto tutto di ostruzionismo, non porta a risultati utili, per cui noi al momento non pensiamo di ritardare». Il ministro Nordio va oltre, e prevede che agli inizi del prossimo anno si andrà al referendum, entro la primavera del 2026.

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