Viaggio nella fabbrica dei super droni Italo-Turchi

  • Postato il 27 agosto 2025
  • Di Panorama
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«Questo sito è la Ferrari dei droni». Il benvenuto di Fabio Pauluzzo, responsabile dello stabilimento Leonardo a Ronchi dei Legionari in provincia di Gorizia, non lascia dubbi. Oltre il muro di cinta, filo spinato, allarmi e telecamere si estendono i capannoni con vetri oscurati. La sicurezza è discreta, ma necessaria per uno dei centri del grande gruppo italiano nel campo della Difesa.

L’arrivo del TB3

Qui da gennaio comincerà l’assemblaggio finale del drone TB3, grazie alla nuova joint venture con i turchi di Baykar, che dominano il 65 per cento dell’export mondiale. «Nei prossimi dieci anni, si prevede che il mercato europeo relativo a caccia senza pilota, droni da sorveglianza armati e da attacco in profondità raggiunga un valore di 100 miliardi di dollari» dice in una nota Leonardo.

A Ronchi non c’è una catena di montaggio stile fabbrica classica, ma spazi quasi chirurgici di minuzioso assemblaggio e alta tecnologia, dove vengono sfornati ogni anno 200 fra droni e aero-bersagli, altra specialità della casa, assieme alle simulazioni di volo.

Droni tra salvataggi e missioni militari

«Siamo orgogliosi di avere contribuito con i nostri velivoli a pilotaggio remoto ad operazioni di ricerca e soccorso sia in Africa (vedi in Congo) nell’evacuazione di civili, che nel Mediterraneo, con il salvataggio dei migranti in mezzo al mare», afferma Pauluzzo a Panorama.

Per oltre dieci anni il Falco Evo, un drone di sorveglianza che vola a 7 mila metri di quota, ha assistito la missione dei caschi blu nell’ex Zaire con operatori sul posto. E non sono mancati, grazie ai suoi “occhi” elettronici, riprese di scene terrificanti della guerra civile.

Lo stesso modello di drone è stato utilizzato da Frontex, con il placet del ministero dell’Interno, per individuare i barconi in arrivo dalla Libia. L’evoluzione è il Falco Xplorer del 2024, più grande, con un’apertura alare di 19 metri.

Tecnologia e costi

Da gennaio dovrebbe partire un nuovo contratto con “piloti” che fanno base a Lampedusa e le immagini dei droni verranno rimbalzate in diretta al quartier generale di Frontex, a Varsavia. Sul costo di questi velivoli basta pensare che la torretta elettro-ottica può valere un milione di euro e il radar sul muso 750 mila.

A Ronchi, durante la Guerra fredda, si sfornavano anche aerei spia. In seguito al conflitto in Ucraina non è escluso un ritorno a velivoli del genere derivanti dagli aero-bersagli Mirach, usati per l’addestramento.

La sfida della joint venture LBA Systems

La nuova sfida di Leonardo è la joint venture LBA Systems, al 50 per cento con Baykar Technologies. I droni armati turchi verranno integrati con le tecnologie italiane a cominciare dai sistemi elettro-ottici radarizzati e all’uso dell’Intelligenza artificiale.

Grazie all’esperienza del milione di ore di volo dei primi droni TB2, cruciali in Ucraina all’inizio dell’invasione, i turchi sono ora riusciti a farli volare da soli in caso di guasti al Gps, con l’ausilio dell’IA. Anche i motori verranno sviluppati in proprio e Leonardo è cruciale per le certificazioni necessarie per i mercati occidentali, a cominciare da quello europeo.

L’accordo di Parigi

La firma dell’accordo è del 16 giugno al Salone di Parigi-Le Bourget, dove era esposto un drone Akinci con il marchio LBA. «Con Baykar diamo vita a un nuovo attore di riferimento nelle tecnologie senza equipaggio, che rivestiranno un ruolo sempre più centrale nel futuro della Difesa» dichiara Roberto Cingolani, ad di Leonardo.

La stretta di mano, dopo la firma, davanti alle bandierine italiana e turca sul tavolo, è con Selçuk Bayraktar, presidente dell’azienda di famiglia con 1,8 miliardi di dollari di esportazioni nel 2024. «Abbiamo sempre creduto che il futuro dell’aerospazio risieda nelle idee audaci e nell’innovazione che supera i confini del possibile», afferma Bayraktar.

I droni turchi sul campo

I droni turchi sono diventati famosi durante l’assedio di Tripoli del 2019, respingendo gli attacchi del generale Haftar. Due anni dopo hanno fermato intere colonne russe in Ucraina, al punto che i militari di Kiev si sono inventati la canzone patriottica Bayraktar.

I generali azeri hanno vinto la guerra nel Nagorno Karabakh grazie ai velivoli senza pilota turchi. Oggi Baykar ha firmato accordi con 34 Paesi, gli ultimi sono Nigeria e Indonesia. Selçuk Bayraktar, decorato pilota, è il genero di Recep Tayyip Erdogan, ed è indicato come possibile futuro leader dell’AKP.

L’Astore e le nuove frontiere

A Ronchi viene già prodotto l’Astore, un drone armato con due missili a guida laser turchi Cirit. L’Aeronautica militare ne ha comprati quattro. Un bestione grigio con un’apertura alare di 12 metri. Il bulbo davanti, sotto la pancia, è il “cervello” del drone, la torretta con il segnalatore laser che guida il missile sul bersaglio.

Le stazioni di controllo sono container verdi con all’interno schermi, computer, comandi e aria condizionata. Fa impressione sedersi su uno dei due posti per i piloti e, con un joystick simile a quello dei videogiochi, far decollare virtualmente un drone dalla pista di Trapani.

La nuova generazione di velivoli

Da gennaio partirà l’assemblaggio finale del TB3, il drone turco capace di piegare le ali e decollare da una portaerei con pista corta. Con 24 ore di autonomia, è predisposto per missioni di ricognizione, intelligence e attacco in profondità con munizionamento intelligente come i nuovi missili “invisibili” Kemankes.

La liaison italo-turca prevede anche l’assemblaggio finale del TB2 e dell’Akinci a Villanova d’Albenga (Savona), mentre a Roma sarà studiata l’innovazione tecnologica degli scenari multi dominio. A Grottaglie (Taranto) è invece prevista la produzione di materiali e l’assemblaggio finale del Kizilelma, una sorta di caccia-drone da combattimento pesante.

Le proteste

Immancabili le proteste di anarchici, antagonisti e gruppi pro-palestinesi. Sul volantino che annuncia la manifestazione del 13 settembre c’è un drone spezzato a metà e si fa riferimento alla joint venture con i turchi. Lo slogan è: «contro l’industria delle armi a fianco del popolo palestinese».

Il presidente turco Erdogan, però, accusa a spada tratta Israele per il «genocidio» a Gaza.

Autore
Panorama

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