Von der Leyen e Costa volano in Cina. Ma tra sanzioni nodi commerciali le aspettative di intesa sono minime
- Postato il 23 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“La Cina difenderà i diritti legittimi delle sue aziende”. Nell’ultimo anno, il governo di Pechino lo ha detto tante volte all’Unione europea: prima dopo l’imposizione dei dazi sui veicoli elettrici, poi commentando le restrizioni sulle gare pubbliche per i dispositivi medici. L’ultima volta risale a lunedì, quando il Ministero del Commercio cinese ha risposto alle sanzioni introdotte la scorsa settimana da Bruxelles contro due banche regionali cinesi accusate di aiutare la Russia ad aggirare le misure ritorsive europee. Secondo il Financial Times, con l’emissione di criptovalute gli istituti hanno permesso alla Federazione di importare dall’Ue beni altrimenti vietati.
È la prima volta dall’inizio della guerra in Ucraina che l’Ue colpisce il sistema bancario cinese. Misura finora scongiurata dalla disponibilità dei colossi Industrial & Commercial Bank of China e Bank of China a limitare le transazioni con la Russia. L’azzardo di Bruxelles ha un peso notevole non solo perché dimostra l’intenzione di alzare il tiro. Giovedì i leader di Pechino accoglieranno i presidenti della Commissione e del Consiglio Ue, Ursula von der Leyen e Antonio Costa, per il 25esimo summit Cina-Ue. In agenda figurano incontri di alto profilo, ma le aspettative sono rasoterra.
“Il vertice si tiene in occasione del 50esimo anniversario delle relazioni diplomatiche. Quindi, in larga misura, c’è l’intenzione di fare un bilancio storico, di guardare al passato – spiega a Ilfattoquotidiano.it Wang Yiwei, direttore del Centro di ricerca sugli studi europei presso l’Università Renmin – La questione chiave, però, sono i problemi attuali e le prospettive future. Su questi punti ancora non c’è consenso. Probabilmente verranno fatte dichiarazioni di facciata a sostegno dell’Onu, del multilateralismo, del libero scambio, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e saranno fatte valutazioni positive delle relazioni bilaterali. Questo è già sufficiente”.
D’altro canto è difficile auspicare grandi passi avanti con questo clima. Anche se le reciproche tensioni con Donald Trump lasciano spazio a una parziale distensione. Quantomeno alla possibilità che il blocco dei 27, su cui incombono dazi del 30%, riesca a formulare una propria “autonomia strategica”. Obiettivo che un eventuale accordo commerciale tra Washington e Pechino renderebbe ancora più necessario.
Le nubi più fitte incombono sul fronte Ucraina, dove – secondo l’Ue – l’80% dei beni a duplice uso impiegati da Mosca proviene proprio dalla Cina. Per Pechino, che non considera la guerra affar suo, sono transazioni lecite, sono un “diritto legittimo delle sue aziende”. A microfoni spenti, tuttavia, i leader cinesi cominciano a sentire il bisogno di giustificare la cosiddetta “amicizia senza limiti” con Vladimir Putin. Secondo il South China Morning Post, recentemente il ministro degli Esteri, Wang Yi, ha rivelato all’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, che per la Cina scongiurare la sconfitta della Russia è necessario per avere qualcuno con cui condividere il pressing degli Stati Uniti. Ma probabilmente lo è anche nell’ottica di una riconquista di Taiwan, questione che – come ammesso da Kallas al FT – sta inducendo i Paesi europei a “rimanere impegnati come attori della sicurezza nella regione indo-pacifica”. Messaggio sostanziato in questi stessi giorni dall’arrivo sull’isola di una delegazione del Parlamento Ue per incontrare le autorità locali e i rappresentanti della società civile.
Qualche gesto più conciliante potrebbe arrivare dal dialogo commerciale. D’altronde l’interscambio vale quasi 800 miliardi di euro. La Cina spera ancora di raggiungere un’intesa sui veicoli elettrici, soprattutto considerati gli investimenti da parte dei colossi dell’automotive e delle batterie in Spagna, Germania, Slovacchia e Francia. E anche se i colloqui pre-summit non sono andati come sperato, la decisione di velocizzare l’emissione delle licenze sull’export di terre rare ha già dato alcuni frutti: secondo i dati doganali, circa 1.364 tonnellate di magneti sono state spedite verso l’Ue, rappresentando il 43% delle esportazioni complessive di giugno, in aumento rispetto al 32% di maggio. In confronto, le spedizioni verso gli Stati Uniti si sono attestate all’11%. Anche il nodo della sovracapacità industriale cinese – condannato duramente a parole – nei fatti vede Bruxelles adottare un approccio attendista. Commentando l’aumento dell’export dalla Repubblica popolare verso il mercato unico, a giugno funzionari europei hanno spiegato che “è troppo presto per stabilire se vi sia una deviazione degli scambi” dagli Stati Uniti, resi dai dazi trumpiani una destinazione off-limit per molti produttori cinesi.
Né l’indagine avviata dall’Ue sull’importazione di pannelli solari e turbine eoliche cinesi ha compromesso la cooperazione sul clima, dossier che da sempre avvicina Bruxelles a Pechino. Con l’approssimarsi della COP30, “una dichiarazione congiunta” al termine del summit è ancora possibile, riferiscono fonti della stampa hongkonghese. Pochi giorni fa la commissaria europea alla Transizione ecologica, Teresa Ribera, ha lasciato la Cina ricevendo dagli ospiti la promessa di un piano aggiornato per tagliare le emissioni entro il 2035.
Certo, difficilmente Pechino otterrà quanto vuole più di ogni altra cosa: un ritorno all’accordo sugli investimenti bilaterali (CAI), congelato dal parlamento di Strasburgo nel 2021 all’apice delle polemiche sulla repressione cinese nello Xinjiang. Ma i rapporti con gli eurodeputati sono in miglioramento: la Cina ha persino sospeso le sanzioni applicate agli esponenti più critici, mentre la presidente Roberta Metsola ha confermato che le due parti “hanno rimosso le restrizioni sugli scambi reciproci”. Una delegazione dell’Assemblea Nazionale del Popolo (ANP), l’organo legislativo della Rpc, pare raggiungerà Bruxelles il prossimo ottobre.
Anche l’affondo inferto alle due banche cinesi potrebbe durare poco: appena sei mesi. Stando al SCMP, la Commissione ha informato i Paesi membri di voler prendere in considerazione una riabilitazione degli istituti colpiti se dimostreranno di aver smesso di supportare l’esercito russo. La speranza (di un pentimento di Pechino) è l’ultima a morire, specialmente da quando il negoziato avviato da Trump con Putin non ha prodotto nulla salvo emarginare gli alleati europei.
Le aspettative saranno pure rasoterra, ma c’è ancora molto in gioco. Nel difendere i “diritti legittimi delle sue aziende” la Cina dovrà fare attenzione a calibrare bene la risposta.
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