Zelensky va a Istanbul a vedere il bluff russo. Trump: pronto a venire

  • Postato il 13 maggio 2025
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Zelensky va a Istanbul a vedere il bluff russo. Trump: pronto a venire

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Il presidente ucraino Zelensky ha telefonato a Papa Leone XIV e ha annunciato la sua presenza a Istambul; anche Trump annuncia una possibile partecipazione


Appuntamento a Istanbul? Nella città dei due continenti (Europa ed Asia) e dei due mari (Nero e Mediterraneo) giovedì prossimo forse si incontreranno i leader dei due blocchi che ormai da tre anni si contrappongono in Ucraina. Certa sembra essere la presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha annunciato la sua presenza domenica scorsa, ma ieri anche il leader americano Donald Trump ha aperto a una sua possibile partecipazione al vertice nell’antica Costantinopoli, sebbene la partecipazione del capo del Cremlino Vladimir Putin sia ancora da confermare. La dinamica che ha portato alle soglie di questo possibile, ancora ipotetico ma già storico meeting ricorda da vicino un “vedo” degno di una partita di poker d’alto livello.

Tutto è cominciato nel giorno dell’apparente trionfo di quest’ultimo, lo scorso 9 maggio. Mentre infatti il capo del Cremlino celebrava sulla Piazza rossa l’ottantesimo anniversario della vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale alla presenza di tutti i suoi alleati, a Kiev una corposa delegazione europea incontra Zelensky in una parallela contro-manifestazione tesa a ribadire il sostegno all’Ucraina invasa. Ne facevano parte il presidente francese Emmanuel Macron, il premier britannico Keir Starmer, il neo-cancelliere Friedrich Merz e il primo ministro polacco Donald Tusk. Oltre a confermare però l’appoggio economico, politico, diplomatico e militare offerto finora dalle democrazie europee all’Ucraina in questi tre anni di guerra, i leader del Vecchio Continente e Zelensky hanno presentato una proposta unitaria per rinforzare la pressione diplomatica sulla Russia e accelerare così il processo di pace.

Sulla base dello schema euro-ucraino, Mosca avrebbe dovuto dare seguito alla proposta di istituire un cessate il fuoco temporaneo. Senza precondizioni in linea con quanto sostenuto da Ucraina e Stati Uniti fin dal vertice di Gedda nel marzo scorso. Se questo non fosse accaduto entro oggi martedì 12 maggio, l’Europa avrebbe imposto nuove sanzioni contro la Russia come effettivamente avvenuto. Ma la vera posta in gioco giace tutt’ora nel controllo della narrativa: negli ultimi mesi la Federazione russa si è sforzata di mantenere in stallo i negoziati e allo stesso tempo di apparire come l’attore più propenso ad allinearsi ai desiderata trumpisti di una soluzione rapida del conflitto in corso.

Proprio per prendere in contropiede Putin, ucraini ed europei hanno lanciato la loro proposta, con un certo successo dal momento che il presidente russo è costretto a rispondere immediatamente e in maniera inattesa. In un inconsueto appello televisivo alla nazione nella notte tra sabato e domenica scorse, lo Zar ha proposto negoziati diretti tra Russia e Ucraina e – per la prima volta – ha dato anche luogo ed ora: giovedì, appunto, a Istanbul in Turchia. Domenica il leader russo ha sottolineato la serietà della sua proposta con una telefonata diretta al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che si è detto disponibile a ospitare il vertice. Lo stesso leader turco nella giornata di ieri ha sentito anche Zelensky ma per molti versi l’incontro è lontano dall’essere certo, nonostante l’ottimismo di Trump.

In primo luogo, il presidente ucraino ha intuito lo scopo della controfferta russa, cioè il desiderio di cambiare nuovamente la narrativa a suo favore, e si è mosso di conseguenza: annunciando la sua partecipazione diretta il leader di Kiev sfida apertamente Putin a fare lo stesso, esponendosi però a un viaggio in un Paese che è pur sempre un membro della Nato e che sarà probabilmente non conclusivo. In secondo luogo, perché più che un passo avanti l’eventuale summit di Istanbul somiglierebbe a un passo indietro. Luogo e format corrispondono ai negoziati tenutisi proprio nella città turca nella primavera 2022 e successivamente deragliati. A quel tavolo molto probabilmente pensava Putin quando ha formulato la sua offerta e a esso ha fatto apertamente riferimento lo stesso Erdogan.

Ma al netto della retorica la volontà turca di giocare un ruolo più grande nella partita russo-americana risalta con grande evidenza: Ankara ha più volte offerto l’utilizzo dei propri soldati come forza di interposizione tra Mosca e Kiev e aspira a intestarsi il successo di un eventuale trattato di pace. L’entusiasmo mostrato da Trump stesso nel lasciare il ruolo di negoziatore principale a Erdogan la dice lunga sul desiderio del leader statunitense di sganciarsi dallo scontro con la Russia, ma anche è soprattutto sullo spazio che attori audaci come la Turchia potrebbero ritagliarsi approfittando della relativa debolezza delle due superpotenze. Mentre il summit resta per ora sospeso, le manovre contrapposte messe in campo da Russia e Ucraina nel tentativo di incastrare l’avversario nel proprio stesso bluff appaiono chiare. In un certo senso il tavolo dei negoziati e quello da gioco si somigliano, ma questo non deve stupire troppo.

Qualche decennio fa, durante la Guerra fredda, si era soliti dire che lo scontro tra Washington e Mosca era qualcosa di più di uno scontro ideologico o strategico, era uno scontro metodologico. La differenza negli approcci delle due superpotenze era incarnato da una famosa battuta: che gli Stati Uniti giocano a poker mentre i sovietici giocano a scacchi, anche se oggi si direbbe che un po’ tutti preferiscano il primo ai secondi. In questo gioco tra potenze grandi e piccole si rischia però di dimenticare la vera posta in gioca, ovvero sia una questione umanitaria che da troppo tempo rimane dimenticata nel braccio di ferro tra i due blocchi.

Proprio a questa si è appellato il nuovo Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, che nel suo primo Regina Coeli ha chiesto il raggiungimento di una pace giusta e duratura in Ucraina e la liberazione dei minori ucraini tutt’ora nelle mani delle autorità russe dopo le deportazioni di intere famiglie seguite alle prime settimane di invasione. Un’attenzione questa che rappresenta un piccolo faro di speranza nell’oscurità bellica e che in passato è già riuscita a ottenere il ritorno alle proprie famiglie di decine di bambini. Non a caso Zelensky ha voluto ringraziare personalmente il nuovo pontefice, invitandolo a compiere presto una visita apostolica in Ucraina. Forse, dopo che la pace sarà stata siglata, sui tavoli di Istanbul.

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