Alberto Trentini, si apre uno spiraglio: c’è l’ipotesi scarcerazione. L’ostacolo? Il Nobel per la Pace a Machado

  • Postato il 12 ottobre 2025
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Alberto Trentini, l’operatore umanitario recluso da oltre 330 giorni al carcere de El Rodeo I, in Venezuela, potrebbe essere scarcerato nelle prossime settimane. L’ipotesi prende forza nelle ultime ore, attraverso diverse fonti, anche locali, sulla base dei recenti sviluppi nei rapporti tra Roma e Caracas, che vanno dalla visita consolare, nella quale l’ambasciatore Giovanni Umberto De Vito ha potuto constatare le condizioni detentive di Trentini, alla recente telefonata del cooperane italiano ai familiari. Tra i possibili scenari vi è il suo trasferimento ai domiciliari, nel Paese sudamericano – in Ambasciata o in uno dei tanti immobili dello Stato venezuelano a Caracas – in vista del successivo ritorno in Patria. A complicare le cose, paradossalmente, potrebbe essere il Nobel per la Pace. Conferito nei giorni scorsi alla leader dell’opposizione venezuelana Maria Corina Machado, aperta sostenitrice di un intervento statunitense che ribalti il governo, il premio sembra normalizzare le minacce di Donald Trump, che nel Mar dei Caraibi ha schierato flotta e soldati dichiarando guerra al narcotraffico di cui accusa direttamente Maduro. Che invece, ogni giorno di più, teme un “imminente attacco armato al Venezuela”, come ha dichiarato l’ambasciatore di Caracas all’Onu, Samuel Moncada.

“Cercheremo di fare in modo che possa rientrare in Italia” e quindi “liberato insieme agli altri connazionali”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani a margine della cerimonia per il 35° anniversario della Commissione di Venezia e a commento dell’ultima telefonata di Trentini. “Due sono stati liberati un mese fa”, ha proseguito Tajani, “ora lavoriamo in una situazione che è caratterizzata dall’incertezza e dalle difficoltà, e cercheremo di fare tutto il possibile per riportarlo in Italia sano e salvo”. Il gesto sarebbe accolto positivamente anche dalla Santa Sede dopo l’appello dei vescovi per il rilascio di coloro che sono “detenuti per ragioni politiche” – soprattutto quelli che presentano “condizioni di salute fragili” – in vista della canonizzazione dei primi due santi venezuelani, José Gregorio Hernández e Carmen Rendiles, che sarà celebrata domenica 19 ottobre, in piazza San Pietro.

A tale riguardo il governo presieduto da Nicolás Maduro ha compiuto un ulteriore gesto di apertura concedendo le visite a decine di prigionieri reclusi a Caracas, interrompendo – in alcuni casi – oltre 400 giorni di totale incomunicabilità con l’esterno, compresi legali e familiari. L’apertura alle visite è stata riferita a ilfattoquotidiano.it da una fonte della Chiesa cattolica e poi confermati dagli stessi familiari. A beneficiare delle visite anche italiani con doppio passaporto, tra cui Perkins Rocha, avvocato per i diritti umani nonché consigliere giuridico della leader dell’opposizione Machado. “Dopo un anno, un mese e undici giorni, ho potuto visitare Perkins Rocha e ci siamo dati il tanto atteso abbraccio. Lui è sereno, forte e in piedi”, ha riferito su X la moglie, María Costanza Cipriani, sottolineando che “nulla cancella l’orrore di un’incomunicabilità così lunga”. “La nostra fede è intatta”, ha sottolineato Cipriani” per la quale “il prossimo passo dev’essere la piena libertà” di Rocha, detenuto dal 27 agosto dell’anno scorso con accuse come “tradimento della patria” e “terrorismo” nell’ambito delle tensioni politiche scaturite dopo le ultime elezioni presidenziali.

Altre famiglie hanno preferito rimanere prudenti, evitando di rilasciare dichiarazioni sulla visita in quanto si tratterebbe di “un diritto costituzionale negato a lungo” mentre “l’unico vero risultato” sarebbe “il rilascio dei detenuti”, anche “con misure sostitutive”, come i domiciliari o l’esilio forzato. Nel frattempo, sale la preoccupazione anche per il giornalista Biagio Pilieri, affetto da fibromialgia e particolarmente provato dalla prigionia. Dopo tredici mesi di detenzione, Pilieri avrebbe perso circa otto chili. L’aspettativa riposa soprattutto sull’elenco degli ottanta prigionieri politici in fase di compilazione, come hanno riferito fonti della Cancelleria venezuelana a ilfattoquotidiano.it. “Bisogna però far presto”, sostiene il Comitato delle famiglie dei detenuti, il Clippve, “la canonizzazione è forse l’ultimo treno per molti dei nostri e vorremmo che ci fosse un gesto di grazia. Sarà faticoso trovare altre finestre”.

Ma a preoccupare di più non sono i tempi – eventuali rilasci potrebbero avvenire anche a margine o dopo domenica prossima – bensì la crescente pressione esterna nei confronti di Caracas dopo il recente conferimento del premio Nobel per la Pace alla leader dell’opposizione, Maria Corina Machado, annoverata dal Comitato di Oslo tra i “coraggiosi difensori della libertà” per la sua scelta di rimanere nel Paese, nonostante le minacce contro la sua incolumità. Al di là dell’impegno politico di Machado, la consegna del premio è stata fortemente criticata dalle autorità venezuelane proprio perché l’oppositrice, già pre-candidata presidenziale, sostiene apertamente la cosiddetta “guerra” dichiarata dall’amministrazione Usa ai cartelli della droga, con l’intento – non più velato – di rovesciare Maduro. “Le azioni guerrafondaie e la retorica del governo statunitense indicano che ci troviamo di fronte a una situazione in cui è razionale pensare che un attacco armato contro il Venezuela verrà portato a termine molto presto”, è il messaggio dell’ambasciatore venezuelano alle Nazioni Unite, che ha chiesto l’intervento diretto del Consiglio di Sicurezza Onu per scongiurare la minaccia che aumenta parallelamente al numero di soldati Usa dispiegati nei Caraibi, che ora ammonta a 10 mila, con punti logistici a Porto Rico, Granada e Trinidad & Tobago, situata a meno di nove chilometri dai confini venezuelani. Il capo di Stato venezuelano ha comunque provato, con diverse lettere, ad aprire un canale di dialogo con l’amministrazione Usa, ma senza esito positivo. L’ultimo tentativo, riporta il New York Times, prevedeva persino il ripristino del primato di Washington sulle risorse petrolifere del Paese a discapito dell’asse Pechino-Mosca. Sbarrata la strada a stelle e strisce, Caracas ha quindi bisogno di una sponda europea, la cui ricerca potrebbe passare anche dal rientro di Trentini e dalle garanzie di sicurezza degli altri connazionali.

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