Ali Khamenei alla prova dell’attacco di Israele, il regime al bivio tra sfida o accordo con l’Occidente

  • Postato il 14 giugno 2025
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Bombardamenti, missili e contrattacchi. Non solo conseguenze dirette su edifici e strutture militari e strategiche. L’imponente operazione militare lanciata da Israele contro l’Iran potrebbe mettere dura prova la tenuta del regime degli ayatollah. A tremare è proprio la cima della piramide, Ali Khamenei, che in un colpo solo ha assistito alla decapitazione della sua leadership militare, mentre le bombe del nemico piovevano sui siti nucleari del Paese. Gli attacchi dello Stato ebraico hanno inoltre riacceso la rabbia di quella parte della società che odia vivere in uno Stato autoritario e alle prese con gravi problemi economici. In questo scenario la Guida suprema si trova di fronte ad un bivio: insistere con la linea della guerra per mantenere una parvenza di solidità, oppure allentare la presa e accettare compromessi nel negoziato con gli Stati Uniti sul suo programma atomico. Ma proprio dall’Oman è arrivata la notizia dell’annullamento del sesto round di colloqui.

Dopo lo strike chirurgico che ha eliminato i capi dell’esercito e dei Pasdaran, oltre a nove scienziati di punta nella ricerca sul nucleare, Khamenei ha subito ricomposto la gerarchia con nuove nomine, promettendo che “il regime sionista” non sarebbe uscito “indenne da questo crimine”. Questo proclama è tuttavia risultato stridente rispetto ai reali rapporti di forza con Israele, che può contare su una potenza militare, tecnologica e di intelligence nettamente superiore, come peraltro dimostrato dall’efficacia con cui lo Stato ebraico ha centrato gli obiettivi nemici. La stessa Guida suprema è apparsa vulnerabile, perché i raid notturni hanno investito anche il quartiere di Teheran dove si trova la sua residenza, così come il palazzo presidenziale di Masoud Pezeshkian.

La minaccia diretta a Khamenei, secondo diversi analisti, sarebbe parte del piano di Benyamin Netanyahu: non solo distruggere le capacità nucleare di Teheran, ma favorire anche un cambio di regime. Come dimostra l’appello del primo ministro israeliano agli iraniani a “combattere per la propria libertà da un regime malvagio e oppressivo”, pronunciato nelle ore successive agli attacchi. È una prospettiva questa che gli ayatollah hanno ben presente, in un Paese dove la corruzione, l’economia di guerra e il pugno duro sulle libertà civili hanno stratificato un consistente malcontento, soprattutto nelle grandi città. Finora le forze di opposizione sono rimaste frammentate e non sono emerse strategie credibili, ma questa escalation con Israele può far crescere l’esasperazione della popolazione, indebolendo ulteriormente il regime.

In questa incertezza l’84enne Khamenei è stretto tra l’intransigenza delle Guardie della Rivoluzione, che vogliono continuare a sfidare Israele, ed il pragmatismo dell’élite moderata rappresentata da Pezeshkian, che punta a riannodare il filo con l’Occidente, per chiudere la lunga stagione delle sanzioni. In questa partita è decisiva la trattativa con Washington sul programma nucleare, anche se in questa fase i segnali sono negativi. Le bombe israeliane sugli impianti iraniani ha fatto saltare il programmato sesto round in programma in Oman, per volontà di Teheran. Ed anche nel merito della trattativa le distanze con la Casa Bianca continuano ad apparire sostanziali. Perché il regime non vuole rinunciare all’arricchimento dell’uranio (anzi ha accelerato), assicurando che il suo programma è pacifico. Mentre Washington vorrebbe spostare il processo di arricchimento in un altro Paese per scongiurare lo sviluppo di una bomba atomica.

“Trump preferisce la pace, l’Iran ha ancora un’opzione”, è stato il poco velato ultimatum lanciato dal capo del Pentagono Pete Hegseth. Ora Khamenei dovrà fare una scelta, che in ogni caso non sarà esente da rischi. Se accettasse compromessi con gli Usa, potrebbe essere un’ammissione di sconfitta. Se continuasse a lanciare missili su Israele, le fondamenta della Repubblica islamica potrebbero crollare sotto i razzi lanciati dai caccia dello Stato ebraico.

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