Azione contro la fame: “A Gaza aiuti ancora molto scarsi, servirebbero almeno 1000 camion al giorno ma ne entrano poche centinaia”

  • Postato il 29 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Alla popolazione di Gaza serve tutto, ma arriva poco. Nella Striscia si soffre ancora per la scarsità di cibo, di acqua potabile, di riparo e di medicinali. E gli attacchi che ieri hanno interrotto la fragile tregua dopo meno di tre settimane non possono che peggiorare le cose. “Anche dopo il cessate il fuoco gli aiuti consentiti da Israele sono stati decisamente insufficienti” spiega al Fattoquotidiano.it Simone Garroni, direttore generale di Azione Contro la Fame. “La situazione è rimasta difficilissima”. L’organizzazione, che dal 1979 lavora per garantire a tutti il diritto al cibo e a un’alimentazione sana, da 20 anni è impegnata anche nell’enclave palestinese. Qui, durante i due anni di bombardamenti israeliani, ha fornito pasti e acqua pulita, realizzato cucine comunitarie e supportato l’agricoltura nei pochi terreni rimasti e l’allevamento di pollame. Un aiuto che ha raggiunto 880mila persone.
Nelle ultime settimane abbiamo riavuto accesso al nostro vecchio magazzino e questo ci consente di lavorare meglio. Abbiamo ricominciato anche la distribuzione di pasti caldi”. Pochi, tuttavia, i passi avanti. “Gli aiuti restano scarsissimi, è necessario subito un accesso libero e completo. Io do sempre alcuni numeri come riferimento. Prima del 7 ottobre 2023, entravano 500 camion al giorno e la situazione era difficile ma non aveva nulla a che vedere con la devastazione che c’è ora. Oggi si parla di 600 camion al giorno, quando ne servirebbero almeno 1000, 1500. Anche se è difficile fare una stima precisa.”. Garroni conferma così le preoccupazioni delle altre organizzazioni umanitarie, che chiedono di eliminare le restrizioni. Nei giorni scorsi 41 ong, tra cui Oxfam, Medici senza frontiere e Terre des Hommes, hanno accusato Israele di bloccare aiuti per 50 milioni di dollari ai valichi di frontiera. Sulla stessa linea Emergency: i suoi operatori si confrontano ogni giorno con la carenza di materiale sanitario di base, come le garze, indispensabile per assistere i pazienti che arrivano alle loro cliniche. Secondo il governo della Striscia di Gaza, dall’entrata in vigore del cessate il fuoco al 21 settembre c’è stato l’ingresso di 986 camion. Una cifra ben al di sotto dei 6.600 previsti.
“Le priorità ora sono soprattutto l’acqua, il cibo e la protezione” dice ancora Garroni. “Bisogna riabilitare i sistemi di gestione dell’acqua, che non può più entrare solo con le cisterne e i serbatoi, e avviare un lavoro di pulizia dai rifiuti per ridurre la diffusione di malattie. Servono poi tende dove far dormire le persone”. Un elemento non secondario quello del riparo: l’inverno è in arrivo, le città sono ridotte a cumuli di macerie e sono migliaia le persone senza casa. “Le tende a maggiore capienza hanno delle componenti che sono classificate come militari e quindi non è consentito importarle. Questo fa capire quali sono gli impedimenti e la difficoltà nel prestare aiuto”.
L’organizzazione ha da poco pubblicato la mappa delle principali emergenze alimentari globali (SI PUO’ CONSULTARE A QUESTO LINK). La Striscia di Gaza rientra, insieme a Haiti e al Sud Sudan, nei contesti in cui l’incidenza della fame raggiunge livelli estremi: dal 50% fino a quasi il 100% della popolazione. A questi tre Paesi si aggiungono i dieci con il maggior numero di persone in insicurezza alimentare acuta. Sono Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. Qui vivono oltre 196 milioni di persone che soffrono la fame acuta. 30 milioni i bambini che subiscono le conseguenze della malnutrizione.
“Dal 1990 al 2015 la fame, la mortalità infantile e la malnutrizione si sono ridotte costantemente. Questo dimostra che la fame non è inevitabile, è causata dall’uomo”. Negli ultimi anni però la tendenza si è invertita. Sono soprattutto tre i fattori che fanno crescere le crisi alimentari: il cambiamento climatico, i conflitti e l’instabilità economica. “Prima di tutto sono aumentate siccità e alluvioni. C’è poi il tema dell’instabilità economica, che si manifesta con l’inflazione alimentare e la speculazione sulle materie prime, e che espone le fasce più fragili della popolazione all’impossibilità di accedere al cibo. Nelle zone di guerra inoltre l’accesso umanitario è sempre più difficile e ostacolato”. Infine la nota dolente del taglio dei finanziamenti e del progressivo disimpegno dei governi su questo fronte. “I bisogni aumentano mentre le risorse diminuiscono. È assurdo, soprattutto se si pensa che la fame dipende da noi e siamo sempre noi che potremmo eliminarla”. L’unico modo per contrastare la povertà alimentare, conclude Garrone, è andare oltre l’emergenza e “adottare un approccio integrato”, in grado di costruire autonomia nel lungo periodo. “Solo così si potrà spezzare il ciclo della fame”.

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