Difesa dei drusi o ambizioni sulla Siria: tutti i possibili motivi dietro all’ultimo attacco d’Israele
- Postato il 16 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“Non permetteremo che venga fatto del male ai drusi in Siria”, ha scritto lunedì su X il ministro della difesa israeliano Israel Katz. Un monito rivolto al presidente siriano, Ahmed al Sharaa, che nelle ultime 48 ore ha dato il via a una ingente operazione militare per ristabilire l’ordine nella regione di Suwayda. Il casus belli ufficiale sono state le tensioni fra la componente beduina sunnita nella regione e quella a maggioranza drusa. Il primo atto è stato il il sequestro di un commerciante druso, seguito dalla discesa in piazza di alcune famiglie beduine armate. Così, le vecchie tensioni fra i due gruppi sono riaffiorate portando allo scontro armato che ha lasciato quasi 100 morti sul terreno.
Ad arrivare a ristabilire la calma ci ha pensato il neonato esercito siriano, mandato da Ahmed al Sharaa che, fra gli altri, ha inviato Hassan Abdel Ghani, portavoce del ministero della Difesa, implicato nel massacro degli alawiti da parte di non ben identificate forze filo-governative. Ghani, si vede in un video, chiede che le fazioni armate druse depongano le armi nel nome di una Siria per tutti. Parole contrastanti con quelle che, pochi mesi prima, aveva usato per gli alawiti – anche bambini – che si erano ‘meritati’ la morte nei massacri sulla costa siriana.
Ad aggiungersi a questo risiko c’è Israele che ha ormai preso il controllo di molti villaggi siriani nella regione del Golan e che ha spedito i suoi caccia a sorvolare la regione a maggioranza drusa. Per mandare un segnale inequivocabile a Damasco, un aereo israeliano ha bombardato un tank siriano, uccidendo i soldati al suo interno. Ma per alcuni non è abbastanza.
A spingere per un intervento più deciso d’Israele, che vuole farsi portatore dei diritti dei drusi in Siria, ci sono proprio dei militari drusi israeliani che hanno mandato una lettera a Netanyahu. “In nome dei valori morali dello Stato di Israele – scrivono – ordini un’azione immediata per fornire assistenza militare o umanitaria ai membri della comunità. Fornisca equipaggiamento e protezione ai membri delle comunità colpite”. Una spinta, insomma, a rispondere all’appello che i leader della comunità drusa avevano fatto appena 24 ore fa, in cui chiedevano “la protezione internazionale” contro i gruppi “takfiriti”, cioè radicali. Ma su un binario lontano, quello che porta a Baku, in Arzebaijan, diplomatici israeliani e alcuni rappresentanti siriani si sarebbero incontrati per cercare una pace fra i due Stati.
Il mancato o “leggero” intervento israeliano a Suwayda, gli sviluppi delle ultime 24 ore che hanno riportato una sorta di tranquillità nel capoluogo di provincia fanno tutti parte di un gioco di pressioni che ha i suoi attori fondamentali seduti ai tavoli negoziali. Israele, impegnato a gestire Gaza e appena uscito da un conflitto con l’Iran, è davvero pronto ad aprire un fronte in Siria? O cerca di spingere per un accordo che metta a tacere un confine congelato da 50 anni? La Siria di al Sharaa, lasciata in ginocchio da 15 anni di guerra civile, può permettersi una guerra con Tel Aviv? Sono domande che cercano risposta in queste ore. Ciò che è certo è che la nuova Siria ha bisogno di ricostruire una armonia sociale, ristabilendo gli equilibri regionali interni, lasciando indipendenti quelle comunità, come la drusa, che da secoli non accettano l’assoggettamento ma il compromesso. Anche se Walid Jumblatt, il dinosauro della politica libanese a capo dei drusi nel Paese dei Cedri, ha invitato i suoi correligionari in Siria ad accettare il governo di Damasco: “Diffidate d’Israele. Vi sfrutterà”.
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