Ex Ilva, 48 ore decisive: riunione a oltranza al Mimit
- Postato il 8 luglio 2025
- Di Panorama
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Si va avanti a oltranza. Stamattina è iniziata così, con le parole chiare del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, la riunione al Mimit con la Regione Puglia e gli enti locali sul futuro dell’ex Ilva di Taranto. “Ho liberato la mia agenda per i prossimi due giorni perché abbiamo 48 ore per decidere”.
Sul tavolo c’è l’accordo di programma necessario per il rilascio della nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia), senza la quale il destino dell’acciaieria è segnato. La conferenza dei servizi tecnica è stata convocata giovedì per il rilascio dell’Aia e incombe la sentenza del tribunale di Milano che, in mancanza di un’Aia sanitaria e ambientale condivisa, potrebbe decidere per la chiusura dello stabilimento. Quindi l’accordo va trovato, pena la fine dell’ex Ilva con l’invitabile impatto industriale, economico, occupazionale e sociale.
Il vertice di oggi arriva dopo giorni di colloqui, compreso l’incontro di ieri tra Urso, la ministra del Lavoro Marina Calderone e i sindacati, che chiedono garanzie su occupazione e decarbonizzazione. L’impianto di Taranto, cuore pulsante dell’ex Ilva, impiega oltre 10mila lavoratori, di cui circa 3mila attualmente in cassa integrazione, e produce acciaio indispensabile per le filiere industriali italiane, dalle automobili all’imballaggio alimentare, passando per numerosi altri settori strategici dell’economia nazionale.
All’inizio della riunione, Urso ha posto cinque domande chiave alle istituzioni pugliesi. La prima: siete d’accordo su un piano di decarbonizzazione in un arco temporale sostenibile? A seguire ha domandato se le istituzioni del territorio siano favorevoli alla realizzazione a Taranto del polo Dri (Direct Reduced Iron), fondamentale per alimentare i futuri forni elettrici, e all’installazione di una nave rigassificatrice nel porto. Agli enti locali è stato chiesto anche di esprimersi sulla costruzione di un impianto di desalinizzazione per il fabbisogno idrico dello stabilimento. Ultima questione posta: “Possiamo garantire la continuità produttiva, salvaguardando occupazione e quote di mercato, in attesa dell’Aia definitiva?”.
Il governo, che ha escluso categoricamente la nazionalizzazione dell’ex Ilva, ha chiarito che la nave rigassificatrice è un tassello indispensabile per alimentare il futuro polo green dell’acciaio. Senza questo elemento strategico, ha avvertito Urso, “anche la procedura di vendita potrebbe incepparsi”, con il rischio concreto di un ingresso di capitali stranieri, in particolare del gruppo azero Baku Steel, pronto a subentrare per portare la produzione a sei milioni di tonnellate l’anno, mettendo così a rischio la sovranità industriale italiana.
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha frenato l’entusiasmo, dichiarando: “Escludo categoricamente che oggi si possa arrivare a un’intesa. Comincia una trattativa sostanzialmente da zero”. Anche il neosindaco di Taranto, Piero Bitetti, ha espresso perplessità sull’ipotesi della nave rigassificatrice, definendo il porto una “zona a rischio incidente rilevante” e invitando a valutare soluzioni alternative più sicure, soprattutto per la città e l’area circostante.
Il futuro dell’ex Ilva si intreccia inevitabilmente con la transizione della siderurgia nazionale verso la decarbonizzazione, un obiettivo imprescindibile ma che comporta sfide enormi, sia sul piano industriale sia su quello ambientale. I sindacati hanno lanciato un appello affinché ci sia un’assunzione di responsabilità collettiva, sottolineando che la tutela del lavoro deve essere centrale nelle scelte. La Fiom-Cgil ha proposto una gestione pubblica con capitale statale, ritenuta necessaria per garantire gli investimenti necessari e la salvaguardia dei posti di lavoro, senza escludere tuttavia l’ingresso di soggetti privati che condividano questi obiettivi.
Intanto, la situazione nello stabilimento è critica e richiede interventi immediati: gli incidenti ripetuti all’Altoforno 1, la mancata ripartenza dell’Afo2, le criticità tecniche che interessano l’Afo4 e l’assenza di un piano finanziario solido aggravano la situazione, mettendo a rischio la continuità produttiva. L’impianto sta consumando risorse tra i 40 e i 50 milioni di euro al mese, con livelli di produzione al minimo storico, e il rischio di un fermo totale diventa sempre più concreto.
Nonostante tutto, l’Italia non può permettersi di perdere la produzione di acciaio di base, fondamentale per molte filiere industriali strategiche. La chiusura dello stabilimento più grande d’Europa non avrebbe solo ripercussioni economiche ma provocherebbe un vero e proprio terremoto sociale, con conseguenze devastanti per il territorio e per l’intero sistema produttivo nazionale.
Il tempo per Taranto e per l’ex Ilva è dunque finito. La decisione se l’acciaieria potrà ripartire verso una transizione green sostenibile o se il Paese dovrà affrontare le pesanti ricadute della sua chiusura sarà presa nelle prossime 48 ore. L’accordo che si firmerà dovrà coniugare ambiente, lavoro, salute e impresa, rappresentando una svolta storica per un settore che da troppo tempo attende una strada chiara e condivisa verso il futuro.