Fantasmi, sabotaggi, cinema, rumore e addii: famiglie io vi scrivo

  • Postato il 28 giugno 2025
  • Di Il Foglio
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Fantasmi, sabotaggi, cinema, rumore e addii: famiglie io vi scrivo

Se è vero che la famiglia è un dono che dura per sempre, tra affetto, follia e rumore, quella descritta da Elisabetta Rasy in Perduto è questo amore (Rizzoli) - il libro con cui è finalista al 79esimo Premio Strega - “è come un fantasma della memoria, come l’eco di altre letture e riflessioni sul mondo familiare che vanno dall’Eneide alla Lettera al padre di Kafka”. 

“Mi sono molto interrogata sul regno dei padri – dice Rasy - perché in realtà, nel mio lavoro letterario mi sono occupata molto di madri vere e di madri simboliche. C’erano queste ombre paterne che mi chiamavano e scrivere questo libro è stata quindi una resa dei conti anche con il mio padre reale, ma soprattutto con un fantasma del paterno”. Siamo all’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia diretto da Fabio Troisi e ci sono tutti i finalisti del premio letterario più importante d’Italia, accompagnati da Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci, salutati dall’ambasciatore Luca Franchetti Pardo e da un pubblico di lettori appassionati. La Polonia è il quinto mercato di sbocco per l’editoria italiana, con 356 diritti venduti nel 2023 (dati AIE) e il secondo mercato di riferimento per i piccoli e medi editori con 183 titoli venduti nello stesso anno, dopo la Cina. “La famiglia è il fulcro del mio romanzo – dice Michele Ruol, in finale con Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (Terrarossa edizioni) - perché quello che racconto, più che la storia di un trauma, è la storia di una coppia e di una famiglia, da intendere in qualsiasi modulazione e possibilità. Per me è il centro di tutto, la piccola cellula con cui si forma la società, quello spazio in cui viviamo con altre persone dentro una casa dove ci mostriamo senza filtri, per come siamo, con tutte le nostre bruttezze, piccolezze e sogni, costruendo relazioni”. 

“Avere una famiglia è come stare dentro un cinema –  aggiunge Paolo Nori, in lizza con Chiudo la porta e urlo (Mondadori), che cita la poesia In due di Raffaello Baldini: mangiare/ bere/canti/ridi/ urli/perché devi urlare/è tutto un urlìo/se no non ti senti/e per loro è allegria”, ben sapendo che alla fine si accendono le luci/ è come svegliarsi, ti alzi, e basta un niente/che le tieni il cappotto/che se l’infila/che la stingi/non molto/ solo sentirla”. 

 

                             

Quella descritta da Andrea Bajani ne L’anniversario (Feltrinelli), “è una famiglia come tante incastrata in un modello culturale patriarcale, che per una legge non scritta prevede - per me in maniera inaccettabile - che per ragioni di genere un maschio possa comandare sul resto della famiglia stessa. Una famiglia che per qualche misura si è retta e tenuta in piedi negli anni attraverso il collante della paura, una di quelle in cui il padre usava la violenza esplicita e l’intimidazione come modalità per mantenere l’ordine e silenziare le voci contrarie, un piccolo totalitarismo domestico. Viene raccontata dal di fuori, da una persona che vuole celebrare un anniversario specifico: l’aver deciso, con un gesto scandaloso, di rompere dieci anni prima ogni relazione con la stessa rivendicando il diritto a sentirsi sicuro dopo aver considerato normale, per più di quarant’anni, il fatto che l’avere paura dentro casa fosse una condizione ordinaria”. In Quello che so di te (Guanda) di Nadia Terranova, la famiglia “diventa la Mitologia Familiare, intesa come famiglia che ci genera, da cui abbiamo origine”. La nonna, la madre, la figlia, la figlia della figlia. “E’ un insieme di detti, non detti, omissioni, manomissioni, falsificazione e sabotaggi delle storie che dovrebbero essere tramandate di generazione in generazione”, precisa Terranova. “E’ ciò con cui facciamo i conti, è una sorta di grande palestra in cui abbiamo un dialogo, a volte conflittuale, con l’immaginario che ci compone”. 

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Autore
Il Foglio

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