“Far ridere un bambino è commovente”: Angelo e la clown terapia, quando un naso rosso aiuta a vivere
- Postato il 26 agosto 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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La scintilla è arrivata quasi trent’anni fa durante un viaggio in Africa nel 1998. Angelo Foti, che oggi ha 59 anni, vive a Besana Brianza, fa l’informatore scientifico e ha due figli, Beniamino e Isabella di 15 e 12 anni, era in Tanzania per costruire un pozzo come volontario. Lì capisce che più che portare carriole cariche di terra si divertiva a portarci i bambini, a giocare e relazionarsi con loro. Così, tornato a Milano, segue il corso per diventare volontario clown dottore presso l’associazione Veronica Sacchi di Milano.“Questo corso meraviglioso ha riacceso la mia parte ludica”, racconta. “Dopo tanti anni oggi faccio parte del gruppo di formatori che preparano i nuovi volontari e sono diventato anche un clown dottore professionista per la Fondazione Dottor sorriso”.
Poco trucco, strumenti musicali e piccole magie
L’immaginario del clown in corsia è molto noto – grazie a Patch Adams e all’associazione Clown One Italia che rappresenta Adams in Italia – forse un po’ meno cosa fa esattamente un clown in ospedale. “È un lavoro delicato ma anche divertente”, spiega Angelo. “In genere siamo sempre in due, perché in due è più facile creare dialoghi e battute, d’altronde le dinamiche comiche si svolgono sempre in coppia. Si usano quindi tecniche comiche, ma l’improvvisazione resta fondamentale. Ci vestiamo in ospedale e tendiamo a non truccarci molto il viso perché i bambini molto piccoli potrebbero spaventarsi. Portiamo qualche strumento musicale, tipo l’ukulele o l’organetto, e piccole magie”.
E come entrate? “Bussiamo alla porta di una camera e chiediamo il permesso. I primi secondi sono dedicati all’ascolto di ciò che ci accoglie, le persone presenti, l’energia del momento. L’obiettivo però è quello di portare empatia, leggerezza, amore, gioia. Detto meglio: lo scopo è quello di alzare l’energia della stanza, che è spesso bassa, e trasformarla. Quando questo accade, nel momento in cui l’energia è al massimo, i clown escono, ci possono volere 5 o 20 minuti, non importa. È provato che se si va via al momento giusto il ricordo del sorriso resta più tempo: ci sono studi che hanno dimostrato come dopo un intervento di clown terapia aumentano le difese immunitarie e la risposta positiva alle cure”. A volte, racconta Angelo, il personale li chiama quando un bambino è particolarmente agitato per un prelievo o in altri momenti critici: ad esempio nel pre o post operatorio.
Le vacanze-missione con la famiglia
Ma i destinatari della clown terapia non sono solo bambini, appunto, ma anche adulti. Angelo, ad esempio, va tutti i venerdì mattina all’Istituto Tumori di Milano o in altri reparti “difficili”. Quando non si può entrare nelle stanze, per motivi sanitari, si improvvisa una “sessione” nelle sale dove si fa la chemioterapia, o dove si fa la pet therapy.
La clown terapia, Angelo, l’ha letteralmente sposata. Infatti nel 2006 incontra a Nairobi la sua futura moglie, anche lei clown. Con lei fa esperienze di solidarietà, vanno negli orfanotrofi in Romania, in Albania, in Etiopia, in Tanzania; negli ultimi due anni hanno partecipato ai progetti di Clown One Italia nella scuola internazionale di Still I Rise, a Nairobi, dove hanno portato dei workshop sulla gentilezza e sulla cura ai 200 ragazzi delle baraccopoli che frequentano la scuola.
Il loro viaggio di nozze ha toccato anche una casa di ragazzi di strada a Iringa, dove la coppia ha conosciuto Padre Franco Sordella, un missionario che ha chiesto loro di fare un workshop per insegnare a ai ragazzi a fare spettacoli comici e artistici. “La cosa bella è che la lingua del clown è internazionale”, commenta Angelo. “Pensi che ci sono ancora ragazzi che abbiamo conosciuto nel 2009 che lo fanno”.
Con l’arrivo dei bambini Angelo e Martina, la moglie, si inventano una sorta di “missione clown famiglia”. “Con un gruppo di amici, perlopiù coppie di clown con figli, da tredici anni condividiamo una settimana di vacanza in cui insieme ci dedichiamo anche a una attività di volontariato: quest’anno siamo andati nelle Marche e parte della vacanza è consistita nell’andare in una casa di riposo per anziani – eravamo 35! – per portare un po’ di leggerezza; altre volte siamo andati in un ospedale in Puglia, reparto oncoematologia pediatrica, e siamo stati anche nelle zone terremotate dove i nostri figli ci hanno accompagnato in uno spettacolo per le persone che avevano perso la casa”. Il viaggio più bello? Il primo in Africa con tutta la famiglia: durante le vacanze di qualche Natale fa, Angelo, Martina e i ragazzi hanno preso un aereo e sono andati nell’orfanotrofio di Tosamaganga in Tanzania dove hanno dormito e fatto spettacoli itineranti tutti insieme. “I miei figli durante l’anno hanno fatto scuola di circo, dove hanno imparato anche a giocolare con le palline e le clave. Ma ci tengo a specificare che noi non li abbiamo mai costretti, ci siamo limitati a mostrare una strada che a noi sembrava luminosa e che portava gioia ad altri”.
I ricordi sono tanti ed emozionanti, anche se spesso dolorosi. “Ci sono cose che ti porti a casa, specie quando vedi bambini malati di tumore che non migliorano, o adolescenti che sovrapponi involontariamente ai tuoi figli”. Anche i clown dottori hanno un aiuto, infatti, c’è un incontro periodico con la psicologa per condividere i feedback.
Ma le emozioni forti sono anche positive. Angelo ricorda due esperienze: “Una volta in Tanzania abbiamo incontrato, all’ospedale del CUAMM, una famiglia delle tribù Masai, che sono animiste. Abbiamo fatto una micro magia a un bambino malato che ha cominciato a sorridere, mentre i genitori ci guardavano un po’ perplessi e abbiamo capito che stavano valutando se fossimo degli stregoni o solo clown. Un’altra esperienza memorabile è quella vissuta al centro oncologico ortopedico dell’ospedale Pini di Milano. “Una signora amputata, dopo un primo momento di riluttanza, mi ha confidato il suo desiderio: danzare. Così mi sono avvicinato a lei, ho preso le sue mani, si è alzata piano, l’ho abbracciata e con la musica dell’organetto abbiamo fatto una piccola danza di un minuto: è stato un momento commovente, ma anche di leggerezza e gioia”.
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