“Ho dovuto ingannare me stessa per dire ‘no'”: Michelle Obama svela lo stratagemma usato per saltare la cerimonia di insediamento di Trump
- Postato il 24 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Voci di crisi con Barack, sospetti di amarezza, illazioni su scandali nascosti. Per mesi, l’assenza di Michelle Obama da eventi pubblici di alto profilo – prima il funerale di Jimmy Carter (dove sarebbe stata seduta accanto a Donald Trump), poi l’inaugurazione presidenziale dello stesso Trump a gennaio – ha alimentato un vortice di speculazioni. Ora, l‘ex First Lady rompe il silenzio e rivela la semplice, ma potente, verità dietro la sua decisione. Lo fa nel suo podcast “IMO With Michelle Obama and Craig Robinson”, co-condotto con il fratello, l’ex First Lady, 61 anni. Parlando con l’attrice Taraji P. Henson, ha confessato che la sua scelta di non partecipare all’insediamento di Trump non aveva nulla a che fare con presunte crisi coniugali o risentimenti politici, ma era semplicemente “la scelta che era giusta per me“. “La gente non poteva credere che stessi dicendo no per qualsiasi altra ragione, dovevano presumere che il mio matrimonio stesse andando a pezzi“, ha detto Michelle, riferendosi ai titoli dei giornali scatenati dalla sua assenza e dalle uscite pubbliche “solitarie” di Barack. “Ci è voluta tutta la mia forza per non fare la cosa che era percepita come giusta, ma fare le cose che erano giuste per me, è stata una cosa difficile da fare”.
Una decisione sofferta, tanto da dover ricorrere a un piccolo stratagemma con sé stessa per non cedere alle pressioni esterne e al suo stesso istinto di “fare la cosa giusta”: assicurarsi di non avere nulla da indossare. “È iniziato col non avere niente da indossare“, ha rivelato, descrivendo il momento in cui ha finalizzato la sua scelta. “Mi sono detta, se non farò questa cosa, devo dire al mio team, non voglio nemmeno avere un vestito pronto, giusto? Perché è così facile dire semplicemente ‘fammi fare la cosa giusta’. Ho dovuto ingannare me stessa per dire ‘no'”. Insomma, senza un abito pronto all’uso, sapeva che non avrebbe potuto cambiare idea all’ultimo minuto.
Questa scelta si inserisce in un percorso più ampio che Michelle Obama sta compiendo per imparare “l’arte di dire no” quando sente che è la decisione giusta per sé: “Dire ‘no’ è un muscolo che devi costruire”, ha spiegato. “E penso che abbiamo sofferto, perché è quasi come se avessimo iniziato ad allenarci tardi nella vita per costruire quel muscolo, giusto? Io ho appena iniziato a costruirlo”. Un allenamento che vuole trasmettere anche alle nuove generazioni, a partire dalle sue figlie: “Voglio che le mie ragazze inizino a praticare diverse strategie per dire no“. L’obiettivo è scardinare quel modello imposto a madri e nonne: “Dopo tutto quello che ho fatto in questo mondo, se sto ancora mostrando loro che devo continuare a dimostrare alla gente che amo il mio Paese, che sto facendo la cosa giusta, che sto sempre puntando in alto, anche di fronte a molta ipocrisia e contraddizione, tutto ciò che sto facendo è mantenere quell’asta folle che le nostre madri e nonne hanno fissato per noi”.
Anni dopo aver lasciato la Casa Bianca (nel 2017), Michelle sta ancora elaborando quell’esperienza attraverso la terapia: “Ce l’abbiamo fatta. Siamo usciti vivi”, ha condiviso. “Spero che abbiamo reso il Paese orgoglioso. Le mie ragazze, grazie a Dio, sono integre. Ma cosa è successo a me?“. La terapia, aggiunge, la sta aiutando a capire che “forse, forse finalmente sono abbastanza”. Un percorso non facile, soprattutto per chi, come lei, ha dovuto affrontare un livello di critica altissimo come prima (e finora unica) First Lady afroamericana: “Alcune delle cose più dolorose che ho vissuto […] durante la campagna presidenziale di mio marito [sono state] solo per aver detto la verità su chi eravamo, […] umanizzandolo come uomo”, ha ricordato Michelle. “Quando ho detto: ‘È un grande uomo, ma non è perfetto, sapete? Ha le sue debolezze e i suoi difetti’. La prima cosa che una giornalista donna ha detto è che ero amara, che lo stavo ‘castrando’, quando solo cercando di dire la verità su com’è la vita, giusto?. E poi vieni etichettata come arrabbiata, sai, perché parli con forza o passione di qualcosa, anche se è nel contesto di grande gioia e orgoglio, la prima etichetta che mettono su di noi come donne nere è che siamo arrabbiate”.
Taraji P. Henson ha espresso piena solidarietà: “Spesso le donne diventano ‘assorbitori d’urti’ per le persone nelle loro vite e si assumono più responsabilità di quanto dovrebbero. […] Hai dovuto essere un ammortizzatore per tuo marito, per i tuoi figli, per tua madre, per la famiglia, i tuoi cari, a causa di dove ti trovavi agli occhi del pubblico. Non è giusto per te. Ti applaudo. Sono felice che ti stia prendendo cura di te stessa nel modo in cui devi”.
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