Hollywood “risponde” a Trump sui migranti, la candidatura agli Oscar a rifugiati e richiedenti asilo
- Postato il 24 aprile 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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La candidatura agli Oscar si allarga a rifugiati e richiedenti asilo. Nel variegato mazzo di nuove regole e linee guida che l’Academy ha approvato nei giorni scorsi spicca quella che riguarda l’ammissibilità per registi sostanzialmente senza una distinta nazionalità. Dal 2026 potranno quindi essere nominati anche autori di film internazionali con lo status di rifugiati o richiedenti asilo. L’aggiunta “politica” a una lunga lista di modifiche più tecniche e settoriali – casting, visione di tutti i film prima del voto – rispecchia l’ennesima sterzata, e sferzata, ben oltre il confine professionale dell’Academy.
Se da un lato l’accanimento trumpiano per tutto ciò che riguarda la materia migratoria, soprattutto ai propri confini meridionali, si inferocisce ogni giorno di più, dall’altro l’Academy non perde un colpo e tra tante modifiche prettamente cinematografiche ne infila anche una di politica tout court. Secondo Variety questa nuova norma “inclusiva” riguarderà i registi di quelle opere che gareggiano prima per una nomination, poi nel caso dell’entrata in cinquina per un Oscar, nella categoria Miglior film internazionale. Anche se nella storia recente degli Oscar attori rifugiati o richiedenti asilo sono andati vicino alla vittoria di una statuetta, o proprio l’hanno indirettamente vinta. Nel 2023 il 51enne Ke Huy Quan vincendo l’Oscar come miglior attore protagonista in Everything everywhere all at once ricordò il suo passato di bimbo “rifugiato”. “Ero un bambino normale in Vietnam e all’improvviso i miei genitori hanno deciso di fuggire”, spiegò subito dopo il trionfo riferendosi a quando aveva sette anni. “Era notte fonda. Mio padre e altri cinque miei fratelli sono scappati su una barca. Siamo arrivati a Hong Kong e all’improvviso mi sono ritrovato in un campo profughi, circondato da guardie e poliziotti”. La famiglia dell’attore rimase un anno nel campo profughi e poi ottenne asilo politico negli Stati Uniti. Quan poi diventò attore fin da bambino, tanto che in molti lo ricorderanno nei panni del piccolo Shorty in Indiana Jones e il tempio maledetto (1984) quando aveva dodici anni.
Un altro bambino rifugiato ha sfiorato la vittoria all’Oscar da protagonista in un film candidato nella cinquina finalista tra i film internazionali nel 2018. Si tratta dell’oggi 21enne siriano Zain al-Rafeea che da 14enne fu protagonista in Cafarnao di Nadine Labaki. Dal 2012 Zain era finito in un campo profughi libanese vivendoci come rifugiato assieme ai suoi familiari. Il bimbo che non era mai andato a scuola ed era quindi analfabeta all’epoca del film, riuscì poi nel 2018 a trasferirsi in Norvegia dove ottenne il diritto d’asilo e iniziò finalmente a studiare.
Infine c’è anche un gruppo di comparse di rifugiati che hanno recitato in un film che ha poi vinto l’Oscar. Si tratta di una ventina di ragazzi iracheni che nel 2008 da rifugiati in Giordania recitarono in The Hurt Locker di Kathryn Bigelow girato, appunto, in Giordania. Sul sito dell’UNCHR possiamo conoscere la loro storia. In particolare quella di Nader e Ala che fuggirono da Baghdad ad Amman rispettivamente nel 2004 e nel 2005, dopo essere stati perseguitati per le loro convinzioni religiose. I due trascorsero quasi tre settimane sul set lavorando in diverse location con la Bigelow e la sua troupe, guadagnando l’equivalente di circa 20 dollari al giorno. I due rifugiati iracheni sono apparsi in scene di folla girate in aree urbane e hanno detto che è stato un lavoro duro.
Nelle recenti modifiche delle regole sulla selezione dei film agli Oscar, dal prossimo anno i membri dell’Academy sono tenuti a visionare tutti i film candidati (prima potevano anche non farlo ndr) in una categoria per poter votare successivamente nella fase finale. A tal fine verrà imposta tassativamente una verifica – presente da sempre solo nelle categorie film internazionale, lungometraggi e corti d’animazione – di visione via streaming oppure durante anteprime ai festival. L’obiettivo è quello di ridurre la pratica fastidiosa e ingiusta per i candidati, il cosiddetto “coattail voting”, che spinge spesso a voti a pioggia per un film di cui si parla in modo positivo senza però averlo mai visto. Tra le novità ci sarà anche un premio per il casting, quindi verrà riconosciuta la collaborazione creativa nel comporre il cast di un film tra registi e produttori.
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