Il media multitasking è dannoso non solo per gli umani, ma anche per l’AI

  • Postato il 16 novembre 2025
  • Di Il Foglio
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Il media multitasking è dannoso non solo per gli umani, ma anche per l’AI

Senza dubbio, molta della responsabilità riguardo alla paura e al disorientamento che si respirano in giro è dovuta ai social media, cioè al modo in cui si leggono, si commentano e si condividono le informazioni: in maniera superficiale, disinformata e sensazionalistica. Del resto, Umberto Eco lo aveva detto: “Danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Infatti, più le opinioni sono divisive, più sono diffuse e potenzialmente assimilabili. La questione è proprio questa: saperli distinguere, gli imbecilli e i loro commenti, dalle opinioni divisive e radicali ma degne di riflessione.

 

Gli studi che indagano le conseguenze del cosiddetto media multitasking, cioè di quell’attività online che comporta un continuo cambio di flussi informativi che coinvolgono l’utente solo superficialmente, parlano chiaro: danneggia il cervello. Infatti, il media multitasking viene associato a dei veri e propri cambiamenti strutturali nel cervello, in particolare, alla riduzione della densità della materia grigia in varie zone del cervello, associandosi così ad alterazioni della concentrazione, delle funzioni mnemoniche, della regolazione emotiva e del controllo degli impulsi. In un articolo del 2022, scritto da ricercatori provenienti dalla canadese Wilfrid Laurier University, si ipotizza addirittura che a causa della “esposizione sensoriale cronica” agli schermi, “tra il 2060 e il 2100 i tassi di malattia di Alzheimer e demenze correlate aumenteranno significativamente”.

 

Proprio in questi giorni, la newsletter di Nature ci informa che un recente studio – ancora non revisionato – scritto da ricercatori provenienti da tre università americane, ha indagato come reagiscono gli LLM, cioè i modelli linguistici di grandi dimensioni come ChatGPT pensati per comprendere e generare linguaggio, quando i dati su cui vengono addestrati provengono dai post popolari di X (ex Twitter). Ciò che è emerso è che “l’esposizione continua a dati spazzatura – definiti come contenuti coinvolgenti (frammentari e popolari) o semanticamente di bassa qualità (sensazionalistici) – induce un declino cognitivo sistematico nei modelli linguistici di grandi dimensioni. Il declino include un ragionamento peggiore, una comprensione più scarsa a lungo termine, norme etiche ridotte e l’emergere di personalità socialmente indesiderabili”.

 

Dunque, anche se i modelli linguistici di grandi dimensioni non possono soffrire, come accade per gli esseri umani, delle conseguenze negative del media multitasking, accusano invece, in questo caso proprio come noi, l’esposizione continua a dati spazzatura. Anche in questo caso, dunque, appare evidente come non debba essere il timore delle potenzialità dello strumento – per quanto sbalorditive e pluriapplicabili – a guidare le nostre riflessioni su di esso. Del resto, la storia delle invenzioni umane non è forse piena di innovazioni stupefacenti? E’, semmai, all’intenzione umana che lo guida che dovremmo rivolgere la nostra attenzione.

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Autore
Il Foglio

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