Iran, l’Europa tenta l’ultima mediazione ma prepara le basi
- Postato il 19 giugno 2025
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Il Quotidiano del Sud
Iran, l’Europa tenta l’ultima mediazione ma prepara le basi
Iran: si cerca ancora una soluzione diplomatica alla crisi, l’Europa tenta l’ultima mediazione per il conflitto in Medio Oriente. Meloni rientra dal G7 e chiede «collaborazione e rispetto». Macron: «Stop ai bombardamenti su obiettivi non nucleari»
Al cancelliere Merz è decisamente scappata la frizione. «Israele sta facendo il lavoro sporco per noi»: frase infelice, probabilmente condivisa da tutti i leader presenti al G7, ma certamente inopportuna mentre gli altri leader europei e il padrone di casa Carney facevano sforzi mai visti, lassù tra le Montagne rocciose canadesi, per seguire tutti lo stesso condiviso e doppio registro: sorridenti e quasi “comprensivi” con Trump (delle serie: non irritare il tycoon); doppio forzo diplomatico di fronte al resto del mondo in fiamme, a cominciare da Teheran. Le sette grandi democrazie occidentali, Giappone compreso, hanno pattinato su un ghiaccio sottilissimo per evitare fratture irreparabili e il fallimento del summit. La Storia dirà se tanta diplomazia, sotto certi aspetti al limite dell’irrilevanza, darà qualche frutto. Di sicuro Meloni, Macron, Merz, Starmer, Carney, von der Leyen e Costa sanno che per loro la partita è delicatissima.
L’Unione europea si gioca la sua credibilità e sopravvivenza con la sequenza di vertici iniziata con il G7 canadese e che proseguirà il 25 e il 26 giugno a L’Aja per il summit Nato e il 26 e il 27 a Bruxelles per il Consiglio europeo. L’agenda è fissata da mesi. La cronaca ne ha stravolto temi e priorità. Ma ne ha definito meglio l’obiettivo: l’Europa, quella geografica e l’Unione europea, deve rafforzarsi, sotto il profilo economico e produttivo e quello della sicurezza, deve trasformarsi in una sorta di pilastro europeo della Nato più o meno autonomo ma non può assolutamente tagliare i ponti con Washington. Non adesso almeno. Forse mai.
E’ questa la lente con cui osservare le conclusioni del G7 canadese e i prossimi appuntamenti. Lavorare insieme, in silenzio, senza accendere polemiche, concentrati sugli obiettivi. Dunque bene ha fatto Macron ad ignorare i toni offensivi di Donald Trump («parla sempre ma non capisce e non sa») provocati dal fatto che il presidente francese voleva sdrammatizzare la partenza anticipata dal summit del numero 1 della Casa Bianca. Bene ha fatto, sempre Macron, a convocare il Consiglio nazionale di sicurezza per invocare «lo stop ai bombardamenti su obiettivi non legati al programma nucleare».
La tensioni fra Teheran e Israele è altissima e gli interessi francesi nella regione, a cominciare dal traffico di mercantili nello stretto di Hormuz, vanno protetti e tutelati. Parigi e anche Roma stanno organizzando l’evacuazione di italiani nella regione.
Bene hanno fatto tutti, a cominciare dalla premier Meloni, a tenere bassi i toni per evitare spaccature. Anzi, a riportare sul tavolo il tema di Gaza e di una tregua nella Striscia mentre tutti guardano a Teheran che poi di Gaza è il capitolo finale dopo il Libano del sud e la rete dei proxi a cui Netanyahu ha dichiarato guerra dopo il 7 ottobre. Difendere il diritto di Israele a difendersi, intimare al regime degli ayatollah di fermare la corsa all’atomica, invocare la diplomazia, augurare la formula “due popoli, due stati” per la Palestina. E nel frattempo tutelare l’Ucraina senza perdere di vista Putin che di Teheran è alleato. Partita complessissima. Che Giorgia Meloni ha deciso di “giocare” nella metà campo giusta e necessaria: con l’Unione europea e lasciando perdere le ambiguità imbarazzanti e autoritarie dell’amico Donald Trump.
La premier sta tornando a Roma. Domani von der Leyen sarà con lei a Villa Pamphili e una dozzina di presidenti africani per far camminare il Piano Mattei insieme al Global Gateway per incentivare gli investimenti in Africa. L’attenzione è fissa sugli sviluppi da Washington, ieri ha preoccupato la notizia dall’arrivo nel Mediterraneo della terza portaerei Usa, inquieta il fraseggio ultimativo tra Trump e Khamenei. Lo sforzo diplomatico dell’Europa è fondamentale in questa fase. Mentre era ancora in viaggio, la premier ha condiviso sui suoi social la clip con i momenti salienti del G7. E ha scritto: «Collaborazione, visione e rispetto: le basi per affrontare le sfide del nostro tempo».
Nel montaggio della clip la comunicazione di palazzo Chigi si è soffermata su due gesti simbolici: l’abbraccio con Volodymyr Zelensky e il caloroso saluto al primo ministro indiano, Narendra Modi. Il presidente ucraino è stato un po’ la “vittima” del summit: Trump non l’ha incontrato, Mosca ha bombardato, la presidenza canadese ha messo il dossier ucraina in un “chair’s summary”, documento che ha meno valore di uno statement, la dichiarazione finale che è stata dedicata totalmente alla guerra Iran- Israele. Tutto questo per evitare la non firma di Trump, uno strappo da scansare come la peste. Così l’Ucraina sarà sostenuta con mezzi e armi ma non c’è un impegno ufficiale del G7.
Anche Giorgia Meloni è stata costretta ad accettare questo compromesso. Nel punto stampa con i giornalisti ha voluto ribadire quello che pensa: «Affidare a una nazione in guerra la mediazione su un’altra guerra, non mi sembra l’opzione migliore. Qui non ne ha parlato nessuno». Difatti, l’idea era di Trump. «Poi se Putin ha questi buoni rapporti con gli ayatollah, ogni tentativo di de-escalation è prezioso». Al G7 – ha voluto precisare sempre per buttare acqua sul fuoco – «non era prevista una dichiarazione finale sull’Ucraina».
Al tavolo dei sei leader rimasti, cioè senza Trump, c’è stato «un accordo sui punti principali» della crisi ucraina, maggiori sanzioni e il «sostegno agli sforzi del presidente degli Stati Uniti per una pace giusta e duratura». Anche questo un faticoso compromesso alla ragion di stato europea.
La premier ha cercato di sorridere ma è sembrata affaticata e molto preoccupata. L’obiettivo «condiviso» al G7 è «evitare» che Teheran «diventi una potenza nucleare» altrimenti rappresenterebbe «una minaccia non solo per Israele ma per tutti noi». No ai «cambi di regime» dall’alto, ben vengano il rovesciamento del regime da parte del «popolo oppresso» ma «si deve fare il pane con la farina che si ha». Mancano le condizioni e l’attacco israeliano ha ricompattamento il dissenso interno al regime.
Si attendono le mosse di Donald Trump, la premier lo sa. In Italia ci sono numerose basi Usa e Nato. E’ chiaro che, se richieste, dovremo dare supporto. La premier ripete la parola “negoziazioni”. Una preghiera, soprattutto.
Il Quotidiano del Sud.
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