Le tante Leghe ai funerali di Giancarlo Gentilini: tra passato, presente e la consapevolezza che è finita un’epoca
- Postato il 29 aprile 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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Quante Leghe del Nord, di Salvini Premier, del Veneto, del Leone di San Marco e della Padania sono racchiuse nel tempio di San Nicolò a Treviso, dove duemila persone tributano l’ultimo saluto a Giancarlo Gentilini, morto a 95 anni, il “sindaco per sempre”? La domanda riecheggia tra le navate, mentre gli alpini si caricano il feretro in spalla e il coro canta “Signore delle cime”, mentre i labari dei carristi, dei paracadutisti, degli avieri, della Folgore, degli internati, degli artiglieri, si alzano tributandogli gli onori. Non c’è una risposta unica, perché dentro la chiesa stanno una accanto all’altra, si agitano, ricordano il passato, forse lo rimpiangono, ancora si combattono tra di loro tante espressioni ideali e politiche di una Lega che nel giorno del funerale di Gentilini scopre che con lui un’epoca è finita.
Bastava aprire i giornali locali del mattino per leggere il diktat di Luca De Carlo, coordinatore regionale di Fratelli d’Italia, che apre una lunga campagna elettorale che si combatterà solo dentro il centrodestra: “In Veneto nessun baratto con la Lega: ora tocca a noi”. Già da lì si capisce quante siano le sfaccettature di una Lega frastagliata e non più vincente, messa nell’angolo, che il sindaco-sceriffo lascia dietro di sé su questo lembo di terra veneta che ne vide le origini. C’è la Lega di governo, con il ministro Matteo Salvini sul primo banco, pilotata da anni in una dimensione nazionale, che Gentilini non aveva capito, anche se i suoi proclami erano simili a certe uscite del generale Vannacci. Ma c’è anche la Lega in chiave personale dell’ormai fu-governatore Luca Zaia, destinato a tramontare con l’autunno, che dal pulpito tiene un’appassionata orazione civile: “Lui ci ha indicato la via, noi siamo tutti figli suoi. Era un coraggioso e un visionario, alimentato dalla follia di fare scelte controcorrente, quando esordì con una grande iniziativa, le panchine. Ricordiamole, anche se qualcuno le considera un atto scellerato, una mancanza di rispetto verso i cittadini, lui ne aveva fin troppo di rispetto per i cittadini, immaginava già una Treviso che fosse un giardino fiorito”.
È la Lega idilliaca e della buona amministrazione, testimoniata da decine di fasce tricolori di sindaci, che costituiscono il patrimonio di un movimento che è cresciuto nella gestione locale e si è illuso con Umberto Bossi di staccarsi dall’Italia, per poi cullarsi perfino, con Salvini, nel sogno di un’egemonia nazionale. Sui banchi di San Nicolò c’è anche la Lega di chi cerca un lavoro, gli assessori uscenti di Zaia che difficilmente troveranno un posto nel consiglio o nella giunta regionale del futuro prossimo, dopo aver occupato a lungo le sedie del potere. Ci sono i figli di Zaia, ma anche i suoi orfani, c’è la Lega dei trombati e degli espulsi. Uno fra tutti, Toni Da Re, che ancora adesso sibila “ipocrita”, e sappiamo tutti a chi si riferisca, visto che fu buttato fuori dopo una militanza eterna e incarichi di prestigio, per un “cretino” di troppo all’indirizzo del segretario. Non era la fine che rischiava di fare anche Gentilini, ormai a fine carriera, quando criticò il poltronificio leghista nelle multiutility trevigiane? “Se ci avessero provato a espellerlo avremmo trasformato il partito in un Vietnam” ricorda Da Re, pronto a lanciarsi in una nuova avventura con una lista alle regionali.
Seduto in prima fila, assieme ai consiglieri comunali, non con le autorità, c’è l’ex sindaco Gianpaolo Gobbo, che fu segretario regionale veneto e per due mandati ebbe a Treviso Gentilini come vice. È la Lega che viene dal passato, una filiazione di Bossi e delle ronde padane, delle camicie verdi e del Parlamento secessionista. Qua e là si intravvede qualche faccia, segnata dagli anni, di un venetismo relegato nelle coscienze e in qualche gruppetto. A salutare Gentilini ci sono le tante leghe dei commercianti e dei bottegai, dei cittadini che lo rimpiangono, dei nostalgici e degli irriducibili anticomunisti. È quest’ultimo l’unico tema che il ministro della giustizia Carlo Nordio rimarca: “Ricordo di Gentilini la solidarietà che mi esprimeva per essere stato oggetto delle aggressioni del partito comunista”. Era l’epoca in cui il magistrato indagava sulle coop rosse e sulla Tangentopoli di sinistra. Adesso, da Guardasigilli, è venuto a portare alla Lega l’omaggio della destra di Giorgia Meloni, che assomiglia già a un passaggio di consegne.
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