“Netanyahu sbaglia, non ci sarà la resa di Hamas. Così noi parenti degli ostaggi e la gente di Gaza soffriremo per sempre”

  • Postato il 27 aprile 2025
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Il volto di Tal Haimi, sorridente e dallo sguardo limpido, è immortalato negli ultimi scatti insieme alla moglie Ella e ai figli. Ne hanno avuti quattro: l’ultimo è nato poco dopo il rapimento e l’uccisione del papà, avvenuto il 7 ottobre 2023 con l’incursione di Hamas nel kibbutz Nir Yitzhak, situato nel deserto del Negev. La salma di Haimi non è stata ancora consegnata ai familiari, evacuati da quella che per tre generazioni è stata la loro casa insieme a tutti gli altri residenti. Tra loro c’era anche Udi Goren, cugino di Tal, ora membro della Hostages and missing families forum: organizzazione costituita poche ore dopo il brutale pogrom con le finalità di riportare gli ostaggi a casa e offrire supporto medico, psicologico ed emotivo ai loro familiari. Una pasoliniana correlazione intreccia il loro futuro a quello di Gaza. Lo sa bene Tel Aviv, che alle manifestazioni anti-guerra ha voluto vietare la menzione degli ostaggi e le foto dei bambini colpiti dalle ostilità nella Striscia.

Udi Goren, a più 570 giorni dal 7 ottobre 2023: qual è la situazione delle famiglie?
Le famiglie vivono in un limbo: sono state spostate almeno tre volte, per ragioni di sicurezza, e restano tutte sotto choc. Hanno perso i loro cari e la loro casa. È difficile riprendere la vita di tutti i giorni. Pensi alla moglie di Tal, Ella, che deve crescere quattro figli piccoli di cui uno nato orfano. Nessuno si sente più al sicuro. La comunità è stata colpita all’improvviso: alcuni erano ancora a letto, come il figlio di Tal che non ha potuto salutare suo padre. Quanto a me: ho dovuto assumere altre responsabilità, anche per amore della mia famiglia. Ho abbandonato la vita precedente e ora mi dedico, quasi a tempo pieno, alla causa degli ostaggi.

Il vostro kibbutz è stato colpito in modo feroce.
È qualcosa di paradossale, difficile da rielaborare. Anche perché i kibbutzim (i membri del Kibbutz, ndr) sono tendenzialmente identificati con la sinistra israeliana: promuovono uno stile di vita comunitario, agricolo, dove si bada gli uni degli altri. Nir Yitzhak era abitato da gente solidale: molti di loro promotori di pace, che si battevano anche per i diritti dei palestinesi. Li consideravano vicini, non nemici. C’era chi praticava anche progetti di accoglienza nei loro confronti. E questo rende più orridi i crimini di lesa umanità perpetrati da Hamas. La violenza di Hamas ha quindi interrotto un esperimento di solidarietà andato avanti per tre generazioni. In futuro sarà difficile tornare lì: ci sono traumi, paure. La comunità è ancora ferita.

Quindi l’ultima parola l’ha avuta la guerra?
No. Se dipendesse dai popoli la guerra sarebbe finita da molto tempo. Sfortunatamente ci sono politici che concorrono a farla andare avanti da entrambe le parti. Ad esempio, la gente di Gaza protesta contro Hamas: si contano più di 50mila morti e mancano cibo, acqua, cibo, cure sanitarie e servizi essenziali. Tutto ciò mentre i leader di Hamas fanno una vita di lusso in Qatar – tra i principali sponsor del terrorismo internazionale – e non s’interessano alla condizione delle persone. Gaza ha quindi diritto a un’alternativa. Non può rimanere nelle mani di Hamas, incapace di convivere persino con il suo rivale interno Al-Fatah.

Ma anche in Israele si protesta. Cosa pensa sulla strategia finora intrapresa dal governo di Netanyahu?
Che la via intrapresa finora è quella sbagliata. Non è pensabile voler combattere Hamas fino alla resa: il gruppo non è interessato alla gente di Gaza, che potrebbe soffrire quindi all’infinito prima di una svolta. Ricordiamo che Hamas è un’organizzazione terroristica e non è interessata a preservare la vita delle persone. Nello stesso tempo le azioni belliche mettono in pericolo gli stessi ostaggi: finora hanno perso la vita in 41. Tuttavia l’attuale governo di estrema destra non sembra intenzionato a porre fine alla guerra. Lo hanno detto apertamente. Anche perché, una volta finita la guerra, lo stesso Benjamin Netanyahu dovrà fare i conti con i problemi interni. Una democrazia si contraddistingue per la sua capacità di tutelare la dignità umana. E in questo caso vuol dire porre fine alla guerra e riportare gli ostaggi a casa.

Qual è il suo appello, anche a nome del Forum, ai decisori politici?
Di certo non dimentichiamo i crimini di guerra commessi da Hamas, e vorremmo anche un confine più sicuro. Nello stesso tempo la strada è quella della diplomazia, che è l’unico strumento adatto a fine alle sofferenze di tutti. Occorre valorizzare gli sforzi delle amministrazioni statunitensi e di tutti coloro che, in questo tempo, hanno cercato di porre fine al conflitto. Anche perché il destino di entrambi i popoli è profondamente intrecciato: la vita degli ostaggi, quella della gente di Gaza. Soffriamo entrambi: noi e loro. Personalmente vorrei riabbracciare gli ostaggi, ma anche rivedere qualche amico rimasto a Gaza.

(nella foto Udi Goren. Credit Tal Shahar)

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