Tregua in Medio Oriente, la sinistra esulta ma “dimentica” chi l’ha resa possibile: Donald Trump
- Postato il 10 ottobre 2025
- Di Panorama
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La tregua chiusa a Gaza grazie alla mediazione di Donald Trump, sostenuto anche dal nostro governo, ha provocato degli episodi di follia collettiva a sinistra. Sotto il sole di Montecitorio, ancora caldo a Roma, ieri mattina usciva Angelo Bonelli di Alleanza Verdi Sinistra e, interrogato sull’accordo, ha risposto che «è un grande errore non liberare Marwan Barghouti» (che in realtà dovrebbe essere liberato ma alla condizione di lasciare la Palestina), definendolo un «Nelson Mandela per i palestinesi». Peccato che Mandela non abbia mai ordinato attacchi terroristici provocando decine di morti e non risulta neanche che abbia guidato Intifade né gruppi paramilitari legati a Fatah. In ogni caso la figura di Barghouti, che rischia di essere glorificata nel giro di poche ore, è il pretesto per non parlare di chi ha mediato per arrivare a una tregua, forse una pace, che appariva impossibile raggiungere: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. E della tenacia con cui il premier italiano, Giorgia Meloni, ha insistito nel sostenerlo. Ed eccoli qui tutti in fila, in pieno imbarazzo alcuni, mentre altri non commentano neanche. È il caso di Benedetta Scuderi che non si esprime sul punto e anzi, dopo l’esperienza della Flotilla, cerca di riportare l’attenzione sull’ultima missione, anche questa bloccata da Israele. Anche l’altra ultrà della missione umanitaria, Alessandra Maiorino, senatrice del M5s, lei rimasta a terra (non gode infatti dell’hype che si è creato intorno ai «superstiti», neanche fosse un reality), commenta: «C’è anche un’altra urgenza di cui non si sta parlando: ci sono dieci italiani detenuti illegittimamente in Israele». Il tutto si è svolto durante un evento a Palazzo Madama intitolato appunto «Music for Peace. Flotilla di terra», una festicciola finita male causa Trump. Francesca Albanese, invece, attacca la pace: «La richiesta di disarmare e deradicalizzare Gaza arriva nel nome della sicurezza di Israele. Dov’è la sicurezza dei palestinesi?», ha dichiarato a Sky News Uk: «Sono stati attaccati senza tregua per decenni, dov’è la demilitarizzazione e la deradicalizzazione della società israeliana?».
Ma a straparlare ieri è il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, che attacca, arso di invidia, e dice: «Si stanno raccomandando a Washington per un predellino nel board per dire che sono stati protagonisti». Colui che da Trump veniva chiamato «Giuseppi» poi aggiunge: «La storia non la cancelliamo: io come cittadino mi sono per due anni vergognato di essere rappresentato da questo governo e questo è nei libri di storia». E torna ad attaccare il premier intervenendo a L’Aria Che Tira su La7, definendola ancora «complice del genocidio» di Gaza.
Il leader dem, Elly Schlein, detta la linea del Pd, accogliendo «con sollievo l’accordo». Ma bastano tre parole per far arrivare un «ma», rigorosamente senza citare Trump (ringrazia più vagamente insieme «Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia»), e chiedere ancora il «riconoscimento dello Stato di Palestina». Infine, non può che tornare, anche lei, sulla Flotilla: «Ancora una volta il governo israeliano, proprio nelle ore in cui si sta negoziando la tregua, decide di violare il diritto con un sequestro illegale in acque internazionali. Le nove barche pacifiche e disarmate della Freedom Flotilla Coalition e Thousand Madleens to Gaza, tra cui alcune battenti bandiera italiana, e che portavano medici, medicine e aiuti umanitari sono state bloccate e intercettate e le persone a bordo impegnate per la pace e la solidarietà sono state sequestrate in violazione del diritto internazionale».
«È una svolta lungamente attesa, drammaticamente tardiva, finalmente benvenuta», commenta il responsabile esteri del Pd, il deputato Peppe Provenzano prima di chiedere ancora: «Ora l’Italia faccia la sua parte, quella che non ha fatto fin qui, riconoscendo lo Stato di Palestina». Così anche per Alessandro Zan, europarlamentare pd, che aggiunge: «Ora si fermi l’occupazione illegale in Cisgiordania».
Un’altra europarlamentare dem, Cecilia Strada, ha parlato di «un giorno strano, alla speranza e al sollievo per la tregua si sommano molte preoccupazioni». «Speriamo che ci sia davvero sollievo», ha aggiunto, «che ci possa essere almeno una notte senza bombe, che possano dormire i bambini, anche se già c’è stata notizia di alcuni civili feriti».
Insomma, quasi tutti sono costretti a lodare in qualche modo una tregua mal digerita sulla quale inevitabilmente bastano poche parole per interrompersi con un «ma» o un «però». Ad accomunare tutte le sinistre, un’amnesia: nessuno si degna di nominare Trump, tantomeno di riconoscergli un risultato decisamente insperato fino a pochi giorni fa. Nessuno lo nomina, tranne uno.
«A me che uno si autocandida al premio Nobel mi fa sempre un po’ sorridere. Mi fermo qui», dice Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana. E quando gli viene chiesto se all’inquilino della Casa Bianca vada riconosciuto il merito dell’intesa ha replicato: «Il merito è di chi sta siglando questo accordo. Certo, anche di chi l’ha proposto, anche dell’iniziativa dell’amministrazione americana, di tutti coloro che stanno rendendo possibile questo passaggio».
Una sinistra che proprio non riesce a esultare per la tregua, dopo mesi di speculazione sulla tragedia dei morti a Gaza.