Wagner fuori dal Mali. Riassetto russo sotto la storia della missione compiuta
- Postato il 6 giugno 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Il 6 giugno 2025 il Gruppo Wagner ha annunciato il ritiro dal Mali, dichiarando conclusa la propria missione dopo tre anni e mezzo di operazioni. Ma dietro la retorica trionfalistica si nasconde un riassetto strategico orchestrato da Mosca, più che un reale successo sul campo. L’uscita della compagnia militare privata – formalmente indipendente ma da sempre legata agli apparati russi – coincide con il passaggio di consegne all’Africa Corps, una nuova struttura più direttamente controllata dal Ministero della Difesa. La Russia, in altre parole, resta, ma con un assetto più regolare e gestito dall’alto, dopo mesi di crisi interna alla galassia Wagner e fallimenti operativi sul terreno maliano.
Dall’ingaggio al logoramento
Wagner era arrivata in Mali nel dicembre 2021, chiamata da un governo militare in rotta con la Francia e gli alleati occidentali dopo due colpi di Stato ravvicinati. L’uscita delle truppe francesi dell’operazione Barkhane aveva lasciato un vuoto che il regime del colonnello Assimi Goïta ha cercato di colmare con l’appoggio russo, siglando un contratto da circa 10 milioni di dollari al mese. Il gruppo ha fornito supporto militare, formazione alle FAMa (le forze armate maliane) e protezione del potere centrale. In parallelo, Mosca ha promosso una campagna mediatica anti-occidentale, sfruttando il sentimento antifrancese diffuso nel Paese.
Tuttavia, il bilancio della presenza Wagner è stato tutt’altro che positivo. Oltre alle pesanti accuse di crimini di guerra – tra cui il massacro di Moura nel marzo 2022, con almeno 300 civili uccisi – l’efficacia militare del gruppo si è rivelata limitata. Nel luglio 2024, un’imboscata dei ribelli tuareg nel nord del Paese ha inflitto una delle peggiori sconfitte subite da Wagner in Africa, uccidendo decine di mercenari e soldati maliani. L’episodio ha evidenziato la fragilità operativa del gruppo: conoscenza scarsa del terreno, logistica inadeguata, isolamento rispetto al contesto locale.
Una ritirata mascherata
La narrazione della “missione compiuta”, rilanciata da canali vicini al Cremlino, punta a salvare l’immagine. Wagner sostiene di aver contribuito a neutralizzare migliaia di jihadisti e rafforzato la stabilità. Ma fonti indipendenti e analisti – dal CSIS al New York Times – parlano di un ritiro dettato dalla debolezza e dal progressivo smantellamento dell’apparato Prigozhin dopo la sua morte nell’agosto 2023. Il Cremlino ha da allora accelerato l’integrazione delle pmc nel controllo statale, avviando una transizione verso forze regolari o semi-regolari come l’Africa Corps.
Secondo diversi osservatori, il Mali resta strategico per Mosca: sia per l’accesso alle risorse naturali, in particolare l’oro, utile a finanziare la guerra in Ucraina, sia per l’influenza geopolitica nel Sahel, area contesa con Francia, Stati Uniti e Cina. Il cambio di formato operativo non è quindi un passo indietro, ma un tentativo di consolidamento e professionalizzazione dell’impegno russo, dopo una fase caratterizzata da brutalità, improvvisazione e ambiguità giuridica.
Reazioni e incognite
Sul piano internazionale, l’annuncio è stato accolto con prudenza. Gli Stati Uniti, che hanno sanzionato sia esponenti di Wagner sia ufficiali maliani, continuano a denunciare il ruolo destabilizzante della compagnia: secondo il Dipartimento del Tesoro, la presenza di Wagner ha coinciso con un aumento del 278% nelle vittime civili. La Francia osserva con interesse ma mantiene rapporti tesi con Bamako, dove la retorica anti-parigina resta parte integrante della comunicazione del regime.
All’interno del Mali, la percezione della popolazione è ambivalente. Inizialmente sostenuta da parte dell’opinione pubblica urbana, Wagner ha perso consensi a causa dei risultati scarsi e delle accuse di abusi. L’uscita della missione Onu Minusma nel 2023 ha accentuato la dipendenza del governo dai mercenari russi, riducendo le opzioni per diversificare le partnership di sicurezza.
Prospettive
Il ritiro di Wagner non segna la fine della presenza russa in Mali, ma l’inizio di una nuova fase più formalizzata e potenzialmente più efficace. Resta da vedere se l’Africa Corps saprà evitare gli errori del passato e affrontare una realtà complessa, con minacce jihadiste attive, ribellioni etniche e uno Stato centrale fragile. Per l’Occidente, l’uscita di Wagner può essere un’occasione per ripensare la propria strategia nel Sahel, ma servono proposte credibili e un approccio meno episodico.
Per il Mali, il rischio è che il “cambio di divisa” si traduca in un’apparente continuità: uomini diversi, stessi metodi. Se le cause strutturali dell’instabilità non verranno affrontate – povertà, esclusione, cattiva governance – nessun attore esterno, russo o occidentale, potrà garantire sicurezza duratura.