25 aprile, partigiani e non solo: l’Italia di oggi è nata anche dalla resistenza civile

  • Postato il 25 aprile 2025
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Sono trascorsi ottanta anni dalla “Liberazione dell’Italia dal nazifascismo”, com’è definita ufficialmente la festività legata al 25 aprile. E sono ormai pochi i protagonisti che ci possono raccontare quel momento; il testimone è dunque passato alle generazioni successive. Ma perché un ventenne di oggi può sentire ancora attuale questa data?

Il movimento di Resistenza nasce dopo l’arresto di Mussolini il 25 luglio del 1943, i 45 giorni del governo militare guidato dal gen. Pietro Badoglio, l’annuncio dell’armistizio l’8 settembre con cui l’Italia abbandona l’alleanza con Germania e Giappone e si schiera con Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione sovietica. Il momento più buio, più drammatico è rappresentato dall’8 settembre, quando il Re, il governo e i comandi militari fuggono a Brindisi dopo l’armistizio. Proviamo a immaginare in quale condizione si trovi il Paese: senza più capo dello Stato, Vittorio Emanuele III, fuggito di nascosto; senza più guida politica, il governo; senza più forze armate, lasciate senza alcuna direttiva mentre la penisola è occupata da due eserciti stranieri in guerra, tedeschi e anglo-americani.

Di fronte al collasso dello Stato, le forze politiche antifasciste, pur ridotte ai minimi termini dalla repressione fascista, si riuniscono e danno vita, già il 9 settembre, al Comitato di liberazione nazionale. Colmano quindi un vuoto drammatico, diventando uno dei principali punti di riferimento per liberare l’Italia e permetterle di riconquistare, come scrivono, il suo posto “nel consesso delle libere nazioni”.

Ogni guerra comporta sempre un di più di violenza difficile da controllare. Tanto più in una guerra civile come quella che lacera l’Italia in quel momento. Anche i partigiani, in alcuni casi, attuano la fucilazione di ostaggi e persino – raramente – rappresaglie contro i familiari dei militi fascisti. Ma le due esperienze, quella fascista e quella resistenziale, restano ben distinte.

Le Brigate Nere partecipano infatti con entusiasmo ai rastrellamenti voluti dai tedeschi contro partigiani e civili, e ci sono reparti che si specializzano in torture che fanno male già solo a trovarle raccontate sulla carta. Molti partigiani si accordano per non parlare, in caso di cattura, almeno 24 ore, per dare tempo ai compagni di accorgersi della loro scomparsa e mettersi in salvo. Migliaia di ragazzi e ragazze danno strazianti prove di resistenza alle sevizie.

Inoltre, se fino a non molti anni fa si calcolava che le vittime inermi, cioè non armate, della violenza nazista e fascista fossero state circa 10 mila, oggi sappiamo che furono invece più di 23mila, di cui ben un terzo commesse dai fascisti repubblicani da soli o insieme ai tedeschi, e due terzi solo da questi ultimi.

Come i giapponesi, che nel 1941 hanno lanciato nelle zone cinesi da loro occupate la “Campagna dei Tre Tutto”: uccidere tutti, incendiare tutto, distruggere tutto, così fanno le formazioni nazifasciste: basta andare a Marzabotto per vedere ancora oggi l’applicazione pratica di questo orrore.

Ma c’è anche un’altra forma di resistenza, capace peraltro di coinvolgere molte più persone. Una resistenza civile che prende la forma delle attività caritative della Chiesa rivolte a chi ha perso tutto, dell’aiuto ad antifascisti ed ebrei ricercati dai nazifascisti, dell’ospitalità offerta a chi è restato senza casa, del rifiuto di centinaia di migliaia di soldati e ufficiali imprigionati in Germania di tornare a combattere per il Duce (ben 50 mila moriranno nei campi di prigionia per denutrizione, percosse, malattie).

L’insieme di questi comportamenti indica che gran parte della popolazione si è ormai allontanata dal regime fascista e dalle sue volontà. Oggi possiamo dire che proprio in quel momento viene posta la prima pietra per ricostruire nel dopoguerra la convivenza democratica tra italiani.

La Resistenza, nelle sue varie forme, ha dunque espresso una carica etica che è forse la sua eredità più alta: la capacità di dire no, di resistere di fronte a comportamenti e regole imposte dall’esterno che ci chiedono di recidere il vincolo che ci lega agli altri esseri umani, di sottometterci in silenzio. È la “scelta della libertà”, come l’ha definita Norberto Bobbio. La democrazia non può farne a meno, non può vivere senza senso della responsabilità, né senza l’intelligenza collettiva che nasce dal concorso di tutte le intelligenze individuali, nessuna esclusa.

Come ha scritto in modo illuminante il grande sociologo Zygmunt Bauman, la voce della nostra coscienza riusciamo paradossalmente ad ascoltarla molto meglio in mezzo al rumore che nasce dal confronto delle idee, piuttosto che nel silenzio del conformismo e della paura imposta. È per questa ragione che bisogna festeggiare, ancora oggi, il momento in cui l’Italia è tornata libera e gli italiani hanno ritrovato la forza di parlare e di ricominciare, finalmente, a far rumore.

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Il Fatto Quotidiano

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