A Tokyo apre un centro culturale che cambia sembianze ogni mese
- Postato il 20 agosto 2025
- Progetto
- Di Artribune
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In una Tokyo che concentra l’arte nei distretti patinati di Ginza o Roppongi, c’è un luogo che ha scelto di esplorare i margini. Siamo a Kameari, quartiere residenziale a est della città, noto ai più per il manga KochiKame e non certo per le gallerie contemporanee. Qui, in un ex magazzino di 3.000 metri quadrati sotto il tracciato ferroviario, è nato Skwat Kameari Art Centre (SKAC), un ecosistema culturale progettato per trasformarsi ogni mese, accogliendo installazioni, performance, librerie, negozi di vinili e un caffè, tutti connessi da un’idea comune di spazio aperto e rigenerativo.
A firmarlo è Daikei Mills, studio creativo multidisciplinare di Tokyo che opera tra architettura, interior design, arte e curatela culturale, fondato da un team di progettisti che concepiscono lo spazio come organismo vivo. Con SKAC, Daikei Mills porta avanti la filosofia di “occupazione rigenerativa”: un modo legale, collaborativo e progettuale di dare nuova vita agli spazi inutilizzati. Keisuke Nakamura, architetto e mente curatoriale del progetto, ripercorre per Artribune origini, visione e prospettive future.










L’intervista all’architetto Keisuke Nakamura
Il concetto di “occupazione rigenerativa” ridefinisce radicalmente il rapporto tra spazio urbano e istituzioni culturali. Come si costruisce un equilibrio tra approcci non convenzionali e il quadro legale?
Per noi l’idea di “occupazione rigenerativa” è più vicina al concetto di coltivare nuovamente uno spazio urbano, piuttosto che consumarlo. Non si tratta di opporsi al sistema, ma di proporre nuovi modi di esistere reinterpretando le regole esistenti e sfruttandone le zone d’ombra.
Non infrangete la legge, quindi.
Crediamo che ci sia sempre potenziale nella zona grigia tra le norme. Ad esempio, il Codice edilizio o i regolamenti urbanistici non sono un fine in sé, ma un mezzo per garantire sicurezza e ordine nelle città. Pensiamo che all’interno di questi quadri normativi ci sia spazio per far emergere valori alternativi. Più che cercare un “equilibrio”, quello che facciamo è un continuo processo di reinterpretazione e dialogo. La cosa più importante è che, per noi, l’occupazione rigenerativa significa proprio restituire linfa a uno spazio, non semplicemente occuparlo. In Giappone le leggi sono molto rigide: per questo è essenziale saper lavorare nelle “zone grigie”. Nell’architettura queste zone esistono sempre, e spesso lì si trovano le risposte giuste.
Il centro culturale SKAC a Tokyo
L’architettura di SKAC è progettata per trasformarsi continuamente, con strutture mobili e un layout volutamente instabile. Quali implicazioni progettuali comporta un’architettura che rifiuta la permanenza?
Spostando il presupposto che “architettura = oggetto fisso”, lo spazio può diventare subordinato alle persone e alle situazioni, adattandosi di volta in volta alle circostanze. È anche un modo per permettere alle attività culturali di sopravvivere nello spazio urbano: proprio perché non è permanente, può essere costantemente rinnovato. Per SKAC, la capacità di accogliere il caso e l’improvvisazione, anziché puntare a un completamento pianificato, è una vera e propria linea di vita. L’“instabilità” progettuale è la base stessa per mantenere una relazione flessibile con la società. Molti pensano che l’architettura sia un oggetto fisso. Noi crediamo invece che possa muoversi e cambiare. Qui possiamo ricostruire ogni parte della struttura, grazie a materiali leggeri e facilmente assemblabili. Questa instabilità è ciò che mantiene aperto il rapporto con il contesto.
SKAC ospita attività molto diverse, dalla musica all’editoria, dal food design alle arti visive. Come costruite una linea curatoriale coerente in un ambiente così multidisciplinare?
Ciò che tutte queste attività hanno in comune è che sono “processi aperti”. Nelle mostre, negli spettacoli dal vivo o nelle attività dei partner, diamo valore alla condivisione del processo creativo, non solo al prodotto finito. Tutto avviene sotto gli occhi dei visitatori.
Non ci basiamo sul genere, ma sul contesto: “Perché fare questo, qui e ora?”. In questo modo, anche con forme di espressione differenti, emerge sempre una certa “necessità” che le lega. La somma di queste esperienze costruisce la visione complessiva di SKAC.
L’accesso gratuito è un pilastro della vostra proposta, ma SKAC funziona anche come sistema economico equilibrato. Quali strategie adottate per conciliare sostenibilità culturale e sostenibilità finanziaria?
Non credo che la cultura debba essere posta fuori dall’economia: esiste un modello in cui la cultura stessa diventa un “motore economico”. Anche se l’ingresso è gratuito, lo spazio, gli eventi, l’arte, la musica, il cibo e gli altri contenuti sono connessi organicamente. SKAC diventa così un forte centro di produzione e diffusione di idee, che a sua volta porta a nuove collaborazioni e incarichi. Stiamo progettando un sistema basato su forme di ricavo secondarie e terziarie. L’ideale è un’operatività “autonoma”, che non dipende da sovvenzioni o sponsor fissi. Per ora non ne abbiamo, e ci teniamo a mantenere l’indipendenza. È anche un processo continuo di ridefinizione di ciò che ha valore e può essere scambiato.
La comunità di Kameari e il nuovo centro culturale SKAC
Kameari è lontana dai circuiti artistici tradizionali. Come ha reagito la comunità locale all’arrivo di uno spazio come SKAC?
All’inizio, pochi residenti venivano con l’idea di “andare a vedere arte”. Ma questo si è rivelato un vantaggio: per noi è più naturale quando le persone vivono l’evento come parte della loro quotidianità, pensando “c’è qualcosa che succede” oppure “diamo un’occhiata”. I negozianti del quartiere hanno contribuito a promuovere le attività, e molte idee per le mostre sono nate da conversazioni informali. Comunichiamo spesso con un linguaggio che sta fuori dal gergo artistico: crediamo che questo sia il primo passo per far crescere l’arte.
La temporaneità è parte del vostro DNA. Che tipo di eredità culturale può lasciare un progetto pensato per non durare?
Per me “eredità” non significa solo oggetti o sistemi che restano, ma anche ricordi e relazioni che rimangono nella memoria delle persone. Anche se SKAC non dovesse restare fisicamente, resterà come traccia nella mente di chi ha vissuto il sentimento che “qualcosa è nato, in quel momento e in quel luogo”. All’apparenza può sembrare fragile, ma in realtà è molto forte. Abbiamo un contratto di cinque anni con Japan Rail Company, proprietaria del terreno. Vorremmo estenderlo: dieci, quindici, vent’anni. In Giappone i primi tre anni sono cruciali, un tempo di prova prima che si vedano i veri risultati.
Alessia Caliendo
Scatti a cura di Alessia Caliendo e Sebastiano Andrea Rossi
L’articolo "A Tokyo apre un centro culturale che cambia sembianze ogni mese" è apparso per la prima volta su Artribune®.