Alfonso Gatto. Un grande poeta del secondo Novecento dimenticato troppo in fretta

  • Postato il 12 ottobre 2025
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Cronista di sport e professore di letteratura, comunista e partigiano, amante della Costiera Amalfitana, sua terra d’origine ma, soprattutto, tra i più grandi poeti della seconda metà del Secolo Scorso, Alfonso Gatto è stato dimenticato decisamente troppo presto…  

La vita di Alfonso Gatto  

Alfonso Gatto (1909-1976) nasce a Salerno da Giuseppe ed Erminia Albirosa, in una modesta famiglia di marinai di origine calabrese. Dopo gli studi liceali, si iscrive all’Università di Napoli nel 1926, ma la deve abbandonare presto per le ristrettezze economiche della famiglia.  Comincia un vagabondaggio che lo porta a spostarsi continuamente, impegnato in lavori diversi.  

Alfonso Gatto e i primi libri di poesie 

A ventitré anni pubblica il suo primo libro di poesie, Isola, che suscita un vivo interesse nel mondo letterario. Sandro Penna parla di una voce poetica “raffinatissima, che ci viene dal Sud”, mentre Eugenio Montale nota una “sensualità” non esente da “un’esasperazione intellettuale“. In quel periodo Gatto lascia Napoli e si trasferisce a Milano, dove inizia a collaborare con riviste come Campografico. Tre anni dopo pubblica il secondo libro, Morto ai paesi, col quale Gatto si avvicina alla corrente della poesia ermetica, proposta dalla rivista Campo di Marte, che fonda insieme a Vasco Pratolini e dirige per due anni, tra il 1938 ed il 1939. Vero e proprio manifesto dell’ermetismo poetico, nei 12 numeri usciti vengono pubblicati articoli e versi di personalità come Carlo Bo, Giuseppe Ungaretti e Mario Luzi, in contrapposizione alla linea accademica imperante, di derivazione crociana. Poco tempo dopo Gatto ottiene una cattedra come professore di letteratura italiana al liceo artistico di Bologna ma vi insegna solo due anni, perché nel 1943 entra nella Resistenza e si iscrive al partito Comunista. Alla fine del conflitto entra nella redazione milanese de L’Unità, dove ricopre varie mansioni, da inviato speciale a cronista sportivo per il Giro d’Italia.  

La passione per il ciclismo di Alfonso Gatto

È appassionato di ciclismo, anche se ha paura di salire su una bicicletta: presto la voce si diffonde, e un giorno Fausto Coppi lo avvicina dopo una gara e gli dice: “perché non cerca d’imparare? Se vuole al pomeriggio le insegnerò io”. Dopo diverse cadute, constatata la sua effettiva incapacità, e dopo l’ultima caduta esclama: “cadrò, cadrò sempre fino all’ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare”.  

La fama, l’accademismo e gli ultimi anni di Alfonso Gatto 

Negli Anni Cinquanta la sua scrittura si trasforma, perde la spontaneità per assumere toni più accademici. Nonostante questo la sua autorità si consolida, grazie alle raccolte di versi La forza degli occhi (1954) e Osteria flegrea (1962), entrambe pubblicate da Mondadori, dove appare evidente il processo di riscoperta del Sud e delle proprie radici campane. Un Meridione “colto, attraverso una appassionata memoria, come fonte orfica del suo rapporto con gli altri e con la stessa natura” ha scritto Angiolo Bandinelli. Alfonso Gatto muore in un incidente d’auto a Orbetello, l’8 marzo 1976. Sulla sua tomba, nel cimitero di Salerno, si può leggere il commiato dell’amico Eugenio Montale: “Ad Alfonso Gatto per cui vita e poesie furono un’unica testimonianza d’amore”. 

Ludovico Pratesi 
 
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Artribune

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