Alla corte della Salis: tra nobili, manager e donatori eccellenti la nuova stella della sinistra prêt-à-porter

  • Postato il 11 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Ha marciato a braccetto di Maurizio Landini in nome dell’antifascismo. Ha paragonato l’eccidio nazifascista di Stazzema con gli attacchi israeliani a Gaza. Ha benedetto la partenza della Flottilla, come sedicente rappresentante dell’Italia. Sempre con la fascia tricolore in bellissima vista. Silvia Salis, spumeggiante sindaca di Genova, è già l’anti Schlein, affannata segretaria del Pd. Sarà lei, giurano gli eterni volponi, la prossima candidata premier. Non c’è diritto civile o disuguaglianza per cui l’erede designata non si batta con tenacia. A movimentista, movimentista e mezzo.

«Il centro contro la periferia, i ricchi contro i poveri, le imprese contro i lavoratori» spiegava con trasporto l’ex ministro Andrea Orlando, gran visir dei progressisti liguri. «La nostra forza sono le persone. Non i poteri economici e le passerelle, ma il popolo». Ogni riferimento al supposto affarismo degli avversari era voluto. Ecco: a leggere il corposo elenco dei finanziatori della compagna Salis, qualche dubbio sulla sinistra proletaria sovviene. Ci sono grandi imprenditori, nobili casati, impenitenti salottieri. Tanti avevano pure simpatie per quei felloni del centrodestra, spesso oggetto di turpi accuse: da Giovanni Toti, l’ex governatore, a Marco Bucci, il suo successore.

Invece, i tempi cambiano. Todos caballeros, finalmente. I 50 versamenti al Comitato Silvia Salis sindaco, durante la sua campagna elettorale, sono pubblicati sul sito della Camera. Il totale è di quasi 149 mila euro: quasi il triplo dei soldi andati al suo sfidante, Pietro Piciocchi. Ma l’elenco è incompleto: il Parlamento registra solo le erogazioni a partiti e movimenti che superano i 500 euro. Gli aiuti complessivi sono assai più cospicui. Comunque sia, quei sostenitori sono la migliore borghesia cittadina. A partire da tre professionisti poi nominati in ruoli chiave.

Sara Armella, per esempio. È un avvocato di grido, grande esperta di diritto doganale. Ha donato 3 mila euro. A fine agosto, è diventata presidente di Palazzo Ducale, la fondazione culturale più importante della città. Il notaio Lorenzo Anselmi, invece, ha dato 2.500 euro. Del resto, era il mandatario elettorale di Salis. A luglio è stato chiamato nel consiglio d’amministrazione di Ireti, che distribuisce gas e acqua. La società è una controllata di Iren, multiservizi partecipata dal comune. Ha elargito la stessa cifra il manager Enrico Franchini. A metà agosto lo hanno nominato nel cda dell’Amt, l’azienda genovese dei trasporti.

Anche l’avvocato Andrea Pericu, professore universitario, ha versato 2.500 euro. È il figlio di Beppe, già sindaco diessino. A perpetrare la tradizione politica è però l’altra figlia, Silvia, anche lei docente nell’ateneo genovese, chiamata in giunta come assessore all’Ambiente. Non si è tirato indietro nemmeno un altro ex primo cittadino: il marchese Marco Doria, che ha regalato 1.500 euro. Uno dei tanti nobili in lista.

Ma nell’elenco ci sono tanti illustri esponenti di grandi famiglie dell’imprenditoria genovese. Anna Pettene, che ha dato 3 mila euro, è la moglie di Edoardo Garrone, presidente di Erg, multinazionale dell’energia. Nel 2016 si ipotizzò una sua candidatura per il centrodestra. Più morigerato Nicola Costa, erede dei famosi armatori: s’è limitato a mille euro. Beppe Costa, pure lui membro dell’omonima e gloriosa stirpe, ha poi donato 3 mila euro. Patron dell’Acquario di Genova, era considerato vicino a Bucci e Toti, che l’avevano voluto a capo di Palazzo Ducale.

Simili simpatie sembrava avere Edoardo Monzani, presidente di Stazioni marittime, che gestisce il traffico passeggeri nel porto. È una controllata del gruppo Msc di Gianluigi Aponte, che un anno fa ha comprato anche il Secolo XIX, storico quotidiano genovese. Monzani ha contribuito con 2 mila euro. Stessa cifra versata dal commercialista Giorgio Mosci: uno dei “saggi” che ha spinto la candidatura a sindaco di Bucci, poi nominato presidente del Porto Antico.

Si sono adoperate per la la causa anche diverse società. Come Distribuzione Acciai, posseduta dalle holding che fanno riferimento alla famiglia Malacalza, già padroni della banca genovese Carige. Ha dato 5 mila euro, poco più di quanto riservato all’avversario di Salis. Lo stesso importo girato dall’imprenditrice Giorgia Serrati: cavaliere del lavoro e presidente di Icat Food, che importa e distribuisce conserve ittiche. Ben rappresentata pure la sanità. Villa Montallegro, sponsor anche della campagna elettorale di Toti, ha bonificato altri cinque mila euro. È la struttura privata più importante di Genova. Peccato che la sinistra, da mesi, si sgoli a tal proposito contro la giunta ligure. Il segretario del Pd genovese, Simone D’Angelo, è arrivato ad attaccare Stefano Balleari, presidente del Consiglio regionale. Ha avuto la faccia tosta di inaugurare una clinica privata. Scelta di rara «inopportunità politica», visto che «la sanità pubblica va a rotoli».

Se aziende e simpatizzanti non hanno lesinato, sarebbe arduo sostenere che gli alleati abbiano erogato con uguale slancio. Unica eccezione è il partito di Carlo Calenda: Azione. Ha versato 7 mila euro. Il 26 maggio, dopo l’elezione, il Churchill dei Parioli tripudiava: «Complimenti a Silvia Salis. Una campagna tosta, in salita e fra la gente che ha portato avanti con coraggio e determinazione. Una bella vittoria, meritata, che fa bene ai genovesi e non solo». Solo che adesso il detestatissimo Renzi punta su di lei per riunire il centrosinistra, sotto il traballante tetto della nascente Casa riformista. Così Carlo, che conosce bene l’ex Rottamatore, le suggerisce di non farsi fregare da Matteo. Non semplicissimo, in effetti.

Silvia smentisce. Vuole rimanere a Genova, altroché. In pochissimi le credono, però. Certo, a spulciare la lista dei sostenitori, la stella del centrosinistra sembra già possedere una delle principali doti del suo scopritore: un robusto spirito d’adattamento. Lei stessa, in un’intervista all’edizione locale di Repubblica, lamentava: «Prima ero la candidata perfetta per il centrodestra, poi sono diventata la pericolosa estremista con falce e martello, poi sono tornata quella con il Rolex in barca che governa per i poteri forti romani, poi ancora quella di sinistra che blocca le opere».

Ecco: in realtà sembra indossare, ogni volta, l’abito più adatto. Era scicchissimo, disegno a sirena e scollo a cuore, quello indossato per l’esclusivissimo party a Palazzo della Borsa in per i suoi 40 anni. Festa indimenticabile. Piena di politici, divi e potentoni. Dietro le quinte, come sempre, c’era il marito: Fausto Brizzi, già protagonista delle Leopolda ai tempi in cui Matteo aveva stregato l’Italia. Adesso, invece, sul palco della kermesse renziana, viene acclamata la moglie: la giovane promessa della sinistra prêt-à-porter. E come il suo grande estimatore, la sindaca riesce a incantare grandi manager e alta aristocrazia.

Tra i donatori ci sono anche ex presidenti di Confindustria, raffinati club nautici e avvocati di grido dello studio BonelliErede. Ma quello che ha versato di più è il marchese Giacomo Cattaneo Adorno: 10 mila euro. Già condannato a quattro anni per concorso in concussione, riparato in Brasile, gli venne concesso un indulto nel 2006. Adesso è il vigneron che ha rilanciato i bianchi liguri. Ma resta pure un costruttore. È di sua proprietà la collina di Vesima, a ponente. Un’area di 10 mila metri quadrati, pronta a essere edificata. La giunta genovese, quattro anni fa, ha autorizzato la costruzione di 60 villette.

Uno scandalo inenarrabile, per il Pd. Il più lesto ad accusare fu Alessandro Terrile: allora capogruppo in consiglio comunale dei dem e adesso vicesindaco della Salis. Consegnò addirittura a Bucci un beffardo Premio cazzuola 2021, puntando il dito: «Dove c’è del verde si copre col cemento. E il signor Cattaneo guadagnerà circa 70 milioni di euro. Magari poi scopriremo che sarà un finanziatore della campagna elettorale del centrodestra». O magari del centrosinistra.

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Panorama

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