Alla Scala torna il dress code: storia, presente e bon ton dell’eleganza a teatro

  • Postato il 7 luglio 2025
  • Di Panorama
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Alla Scala di Milano torna il dress code. A ricordarlo non sono comunicati altisonanti ma nuovi cartelli ben visibili all’ingresso e in biglietteria, dove si legge chiaro: «Chi non rispetta le regole di abbigliamento non ha diritto né a entrare né al rimborso del biglietto».  Nessuna imposizione da gran soirée — niente obbligo di cravatta o abito lungo — ma alcune regole minime da rispettare: bandite canottiere, calzoncini e infradito, in nome del decoro e del rispetto per lo spazio scenico e per gli altri spettatori.

A farle rispettare, questa volta, saranno direttamente le maschere, invitate ad applicare il regolamento con una buona dose di buon senso. Un esempio? Il divieto di spalle scoperte non si applica alle signore con eleganti bluse o abiti smanicati, né le infradito valgono per chi indossa calzature tradizionali, come nel caso delle spettatrici giapponesi in kimono.

Un codice mai abolito, ma dimenticato

Il dress code non è una novità. C’è sempre stato. Anzi, fino al 2015, era persino stampato sul biglietto, dove si indicava esplicitamente per gli uomini l’uso del completo, possibilmente scuro nelle serate di gala. A cambiare la rotta era stato Alexander Pereira, allora sovrintendente, durante il periodo dell’Expo, immaginando un afflusso di turisti internazionali più casual nell’abbigliamento.

Poi, la scelta di “suggerire” piuttosto che imporre, affidandosi al buon gusto del pubblico. Una linea seguita anche dal successore Dominique Meyer, che aveva dichiarato: «Mi importa che i giovani vengano, non come sono vestiti». Del resto, lui stesso aveva vissuto lo sguardo giudicante di certi habitué parigini quando da ragazzo, vestito “da operaio”, si era recato all’Opéra Garnier. Ma oggi non sono tanto i giovani — spesso più curati e formali — a preoccupare, quanto certi turisti distratti, che si presentano con tenute da spiaggia o trekking urbano.

Gli altri teatri: tra raccomandazioni e obblighi

La Scala non è un’eccezione. In Europa, molti teatri d’opera si confrontano con la questione del decoro del pubblico, cercando di equilibrare apertura e tradizione. All’Opéra di Parigi, sul sito ufficiale si invita a scegliere un «abbigliamento consono», con una raccomandazione al completo scuro nelle serate di gala. La Staatsoper di Berlino apprezza l’eleganza, soprattutto alle prime. La Royal Opera House di Londra, invece, si mostra più inclusiva: «Vestitevi come vi sentite più a vostro agio». Nessun obbligo, quindi.

Discorso diverso per la Fenice di Venezia, che prevede regole più restrittive, e non è un caso: il nuovo sovrintendente della Scala, Fortunato Ortombina, proviene proprio da lì.

La storia del dress code alla Scala

Alla Scala, l’eleganza ha sempre avuto un valore simbolico. Fin dalla sua inaugurazione nel 1778, il teatro è stato specchio della società e della sua stratificazione, con palchi di proprietà delle famiglie aristocratiche e borghesi, e un’idea molto chiara di ciò che fosse “decoroso”. Fino al secondo dopoguerra, andare alla Scala significava vestirsi per l’occasione, con rigore e fasto, soprattutto nelle serate inaugurali. Abiti scuri, gioielli, guanti e cappelli popolavano i palchi. In platea si osservava un codice non scritto, ma rigidamente applicato.

Con il tempo, l’etichetta si è progressivamente rilassata, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta. Ma mai del tutto scomparsa. La Prima del 7 dicembre è sempre rimasta un caso a parte, regolata da un cerimoniale preciso e da una forte attenzione mediatica che, più che regole scritte, impone un dress code per osmosi sociale.

Oltre i vestiti: il comportamento in sala

Il ritorno del dress code alla Scala è parte di un ripensamento più ampio sul comportamento del pubblico. Perché l’eleganza, qui, è anche una questione di modi. Non solo estetica, ma etica teatrale: silenzio in sala, telefoni spenti, niente fotografie, nessuna luce blu tra le poltrone. E niente cibo o bevande portati dall’esterno. Regole forse scontate, eppure spesso ignorate. Emblematico il caso recente di uno smartphone caduto da un palco e finito sulla testa di uno spettatore in platea. Da lì l’invito ufficiale a non appoggiare telefoni alle balaustre.

Autore
Panorama

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