Altro che tregua: a Gaza è guerra a intermittenza. E il problema è che non ci scandalizza

  • Postato il 30 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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di Alberto Minnella

C’è una nuova frontiera della diplomazia: la guerra a intermittenza. Si firma il cessate il fuoco, si bombarda, si ristabilisce il cessate il fuoco, e così via, come una playlist di Spotify che alterna Beethoven e metal.

Israele, maestro di questa partitura stonata, sembra aver inventato il “cessate il fuoco con diritto di recesso”. È la pace con l’opzione “annulla e riprova”. D’altronde, nella logica contemporanea dei conflitti, la tregua non è più un punto d’arrivo ma una pausa tattica, un pit stop per cambiare le gomme al bombardiere. E mentre i portavoce parlano di “precisione chirurgica”, la chirurgia è quella di un macellaio che incide il corpo della Striscia di Gaza con la stessa delicatezza di chi apre una scatola di tonno.

Il risultato è sempre lo stesso: si firma la pace con una mano e si sgancia una bomba con l’altra. Ci si potrebbe quasi drammaticamente abituare a questo balletto dell’assurdo, se non fosse che sotto i droni ci sono persone, bambini, ospedali, non “danni collaterali” come li chiamano nelle note stampa dei ministeri.

Eppure la parola “tregua” torna sempre, come un refuso che nessuno ha il coraggio di cancellare. Forse perché fa comodo a tutti: a Israele, per mostrare misura e ottenere credito internazionale; ad Hamas, per tirare il fiato e ricompattarsi; e al mondo intero, che può così dire di aver fatto qualcosa, di aver “fermato la guerra” almeno per il tempo di un titolo di giornale. Poi, quando la tensione cala, il ciclo riparte: una sirena, un missile, un comunicato, una conferenza, una nuova illusione di tregua.

È una tragicommedia diplomatica in cui l’unico personaggio che non cambia mai è la vittima, sempre la stessa, sempre civile, sempre senza voce. L’ipocrisia è che la tregua non serve a evitare la guerra ma a legittimarla, a rimetterla in scena ogni volta con l’alibi della moderazione: “Abbiamo provato la pace, non ha funzionato, torniamo alle bombe”. È come se un chirurgo, dopo aver fallito un’operazione, decidesse di curare il paziente con una sega.

Ma il punto più inquietante è che questa ciclicità non scandalizza più nessuno. È entrata nel lessico della normalità: “ha ripreso i bombardamenti”, “violato la tregua”, “colpito obiettivi militari” – frasi che scorrono sui notiziari con la stessa leggerezza con cui si legge il meteo.

Forse, allora, la vera tregua non è quella fra Israele e Gaza, ma quella fra la coscienza e la realtà: una sospensione morale che ci consente di assistere a tutto questo senza sentirci complici. Il genio perverso di questo sistema è che riesce a trasformare la guerra in manutenzione della pace. E così, ogni volta che un cessate il fuoco viene annunciato, sappiamo già che durerà quanto un tramonto: bello da vedere, inutile a fermare la notte.

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Il Fatto Quotidiano

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