Anas Al-Sharif ucciso con altri cinque giornalisti a Gaza: chiunque ha una voce pubblica la usi per fermare Israele
- Postato il 11 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Cosa possiamo fare? Questo.
Leggete ad alta voce in spiaggia, in metro, in ufficio questa dichiarazione di Amnesty International: “La morte di così tanti bambini e di altri civili non può essere semplicemente liquidata come ‘danno collaterale’, come sostenuto da Israele. Gli attacchi contro Gaza sono stati senza precedenti: almeno 1400 palestinesi uccisi dalle forze israeliane comprendono circa 300 bambini e altre centinaia di civili che non stavano minimamente prendendo parte al conflitto. Amnesty ha riscontrato come le vittime degli attacchi su cui ha condotto le indagini non siano rimaste uccise nel fuoco incrociato tra miliziani palestinesi e soldati israeliani e non stessero nascondendo miliziani o altri obiettivi militari. Molte sono state uccise durante il bombardamento delle loro case, nel sonno, mentre sedevano in cortile o stendevano il bucato. I bambini sono stati colpiti mentre giocavano sul letto. Personale medico e mezzi di soccorso sono stati presi di mira mentre cercavano di soccorrere i feriti o recuperare le vittime”.
È una dichiarazione del 2008. Quindici anni prima del 7 ottobre. Anas Al-Sharif aveva 12 anni, lo vediamo in questa foto pubblicata dallo scrittore e premio Pulitzer palestinese Mosab Abu Toha, che di anni ne aveva 16 e da quelle bombe israeliane sui civili di Gaza rimase ferito.
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Anas è diventato un giornalista, Mosab uno scrittore. Per la stessa ragione. Scegliere di fare il giornalista o lo scrittore a Gaza è come scegliere di fare il chirurgo o l’insegnante qui: per salvare vite umane. In Palestina, per salvare vite umane, devi raccontare al mondo la pulizia etnica che Israele occulta inondando le redazioni di veline, corrompendo politici compiacenti, comprando valanghe di annunci a pagamento che compaiono su Youtube come fossero notizie imparziali, pagando i social e i motori di ricerca per alterare i risultati.
Mosab ha scritto dello sterminio del popolo palestinese, della violazione del diritto internazionale, del patetico doppio standard per cui agli arabi viene chiesto di giustificarsi e prendere le distanze dai terroristi quando sono loro quelli invasi, uccisi, terrorizzati, rapiti, cacciati con la violenza dalle loro case, ma nessuno pretende abiure dagli israeliani. Mosab è stato per questo picchiato, arrestato, costretto a fuggire. Anas è rimasto, con centinaia di altre e altri giornalisti, poetesse, scrittori, artisti: rimasti a Gaza per raccontare il genocidio. Rimasti da soli, perché a Gaza Israele impedisce il libero accesso della stampa internazionale. Rimasti anche loro malgrado, perché da Gaza nessuno può uscire.
A Gaza, i giornalisti che documentano il genocidio vengono uccisi a un ritmo che non ha uguali nella storia. Israele ne ha uccisi più che in tutti i conflitti del Novecento insieme. Anche in Cisgiordania i giornalisti che documentano l’occupazione delle terre dei palestinesi da parte dei coloni israeliani scortati dall’esercito vengono uccisi dai cecchini. È la sorte toccata a Shirin Abu Akleh il 10 maggio 2022, ben prima del 7 ottobre: una dei 20 giornalisti uccisi da Israele non Gaza ma in Cisgiordania, dove non c’è Hamas, non ci sono gli ostaggi israeliani, non ci sono altre scuse.
I giornalisti palestinesi sanno di essere sulla lista delle persone da uccidere dell’Idf, per questo lasciano scritto il loro testamento, si passano le password dei loro account. Israele ha ucciso Anas al-Sharif, 28 anni, corrispondente di Al Jazeera, con il resto della sua troupe: Mohammed Qreiqeh, Ibrahim Zaher, Mohamed Noufal e Moamen Aliwa. Erano in una tenda dedicata alla stampa vicino all’ingresso dell’ospedale Al Shifa. Sono stati colpiti colpiti di proposito, ha ammesso Israele, definendo Anas – indovina? – capo di una cellula terroristica e pubblicando come prova sui social le foto con i leader di Hamas. Le foto di un giornalista con i governanti del suo paese sono la prova che è un terrorista? Secondo quale codice penale o principio di diritto? E i processi, i tribunali, il diritto alla difesa: ne facciamo a meno? Che poi, a difendere Israele sono i sedicenti garantisti di casa nostra, quelli contro le intercettazioni!
E come si punisce un terrorista? Non servono forse avvocati, prove, tribunali, processi? Non è forse da questi particolari che si giudica una democrazia? E gli altri ammazzati con lui? E chi stabilisce chi è un terrorista? Israele che fa saltare i cercapersone a distanza uccidendo i civili, che bombarda ospedali, scuole, campi profughi, non è terrorismo quello? Lo è, come rapire civili, cosa che Israele fa da decenni anche con i minori chiamando questi sequestri di persona “detenzione amministrativa”, tutte pratiche che chi giustifica Israele ricomprende nel diritto alla difesa che Israele esercita attaccando cinque paesi. E perché Israele ha il diritto di difendersi e la Palestina no? Difendere la propria terra dall’occupazione militare è di per sé terrorismo? Allora sono terroristi i partigiani. Chi stabilisce quali popoli abbiano diritto a difendersi e quali no? Gli invasori?
I giornalisti di Gaza rendono questo doppio standard dei 18 pacchetti di sanzioni alla Russia e zero a Israele ogni giorno più manifesto e indigeribile. Per questo sono un bersaglio e per questo noi giornalisti italiani. attraverso l’Ordine dei Giornalisti, abbiamo fatto una colletta per sostenere il sindacato dei Giornalisti Palestinesi alla quale hanno aderito tante firme del Fatto, come Natangelo, Vauro, Tomaso Montanari. Chi vuole può donare qui.
I colleghi di Al Jazeera uccisi non erano stati ancora colpiti perché lavoravano per una testata troppo seguita. Anas Al-Sharif era uno dei giornalisti più apprezzati al mondo: un omicidio mirato sarebbe comparso immediatamente come un crimine di guerra e nessuno avrebbe creduto alle accuse di terrorismo da parte di un governo che non ha mai prodotto prove per il bombardamento degli ospedali, delle scuole, per l’uccisione indiscriminata di civili, per la carestia provocata dal blocco degli aiuti.
Israele ha però superato tutte le linee rosse. Prima che la pressione internazionale si trasformi in atti concreti, ha deciso di procedere con l’annientamento di Gaza per trasformarla, dopo aver espulso o ucciso tutti i palestinesi, in una località di lusso per soli israeliani, secondo i piani esposti dai ministri israeliani già prima del 7 ottobre. Netanyahu ha valutato che l’ennesimo crimine di guerra non avrebbe aumentato il danno di immagine più del racconto dei giornalisti palestinesi da Gaza. Meglio spegnere le telecamere prima della soluzione finale. Del resto, se gli ebrei internati ad Auschwitz avessero potuto riprendersi con gli smartphone, se avessero pubblicato sui social le torture, la fame, i bambini uccisi, se tutto il mondo avesse visto in diretta, cosa avrebbe fatto? Ci penso da mesi e la risposta mi toglie il sonno, mi terrorizza come niente prima d’ora, perché non sono più sicura di quale sia.
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Mi ricordo quando Alfredino Rampi era caduto nel pozzo e la tv lo seguiva in diretta, con il fiato sospeso, perché così era naturale che fosse, pareva a me, bambina come lui. Era naturale che gli adulti di tutto il mondo si prodigassero per tirare fuori sano e salvo quel bambino, cosa che avrebbero fatto per qualunque altro bambino. Osservo lo sguardo corrucciato di Anas a 12 anni, in questa foto del 2008. Sembra quello di un adulto ma è lo sguardo di un bambino che, a differenza di me, aveva già imparato a non fidarsi degli adulti.
I bambini ci chiederanno conto di dove eravamo oggi. Di cosa facevamo per impedirlo. Sham e Salah, i figli di Anas, ci chiederanno da che parte stavamo, a fare cosa, mentre loro venivano terrorizzati, affamati, lasciati orfani. Chiunque ha una voce pubblica la usi per fermare Israele e i governi suoi complici.
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