Autovelox, multa valida anche se il dispositivo non è omologato: il caso

  • Postato il 5 settembre 2025
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  • Di Virgilio.it
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C’è chi lo chiama cavillo, chi lo definisce principio di legalità. Poi c’è chi, beccato a 67 km/h su un tratto limitato a 50, cerca la via d’uscita tra le pieghe della burocrazia. È una battaglia che si combatte non sull’asfalto, ma coi ricorsi tramite avvocato. Da un lato, l’automobilista multato. Dall’altro, l’occhio elettronico dell’autovelox, muto testimone di una colpa. Il tutto arbitrato da una figura che, in questo caso, veste la toga della fermezza: il giudice.

Il colpo di scena

Siamo a Bologna, ma potremmo essere in qualsiasi tribunale d’Italia. La scena è quella ormai tipica: un verbale di multa per eccesso di velocità, una contestazione, e la solita domanda che aleggia in aula come il fumo di uno pneumatico bloccato: è valido un autovelox approvato ma non omologato?

Secondo una recente sentenza del tribunale felsineo, sì. È valido e la multa resta. Una decisione che farà discutere, perché arriva in contrasto con la Suprema Corte, che solo qualche mese fa (sentenza 10505/2024) aveva stabilito che i due procedimenti – approvazione e omologazione – vanno tenuti ben distinti.

Due strade, una sola destinazione

Come spesso accade nella vita, anche nel diritto si aprono spesso due tracciati paralleli. Da una parte chi ritiene che approvazione e omologazione siano equipollenti, ovvero equivalenti. Dall’altra chi, al contrario, considera l’omologazione come passaggio necessario e imprescindibile. Due interpretazioni e due filosofie opposte. Ma una sola strada può essere imboccata.

Il tribunale di Bologna ha scelto quella meno battuta. Secondo la giudice, infatti, l’articolo 142 del Codice della Strada, che disciplina i controlli di velocità, non può essere letto da solo, ma deve essere interpretato in sinergia con l’articolo 201. Quest’ultimo parla chiaro: gli strumenti di rilevazione possono essere “omologati ovvero approvati”. Non una differenza semantica, ma una scelta precisa del legislatore, che – secondo la sentenza – ha voluto attribuire la stessa validità ai due procedimenti.

Il cavillo che non salva

L’uomo multato, in questa storia, non ha negato di correre. Non ha detto: “Non ero io”. Non ha sostenuto: “La strada era libera”. Ha cercato rifugio in un punto tecnico: la mancata omologazione dell’autovelox. Ma è proprio qui che la sentenza si fa granitica. Perché anche se si accettasse la differenza tra approvazione e omologazione, dice il giudice, il ricorso non può fondarsi solo su questo.

Devi dimostrare che lo strumento non funzionava. Devi contestare i fatti, non solo i documenti. In assenza di una prova concreta, la velocità rilevata resta un dato oggettivo, implacabile come il cronometro sotto la bandiera a scacchi.

La tecnologia non perdona

Viviamo in un’epoca in cui le macchine sanno, calcolano e misurano. Gli autovelox non hanno emozioni, né empatia, quindi non fanno eccezioni. Se sei sopra il limite, scattano le sanzioni. Ma come ogni tecnologia, devono essere autorizzati a funzionare. E qui entra in gioco la burocrazia, con le sue sigle, i suoi fascicoli, le sue certificazioni.

In fondo, questa sentenza è un monito. Un invito alla responsabilità. Si può discutere sul diritto, certo. Ma la realtà della strada è fatta di conseguenze, non solo di cavilli. E quando si guida troppo veloci, il problema non è l’omologazione del radar, ma la consapevolezza del rischio. A monte di tutto, però, resta una sentenza che rovescia quanto affermato finora, lasciando il cittadino a brancolare nell’incertezza della giustizia.

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Virgilio.it

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