“Avvoltoi vestiti da prete”: Caracas attacca i suoi vescovi, che hanno aperto spiragli anche sui detenuti politici

  • Postato il 15 ottobre 2025
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“Avvoltoi vestiti da prete”. Non ha più filtri il ministro dell’Interno e della Giustizia venezuelano, Diosdado Cabello, alla sua trasmissione Con el mazo dando, cioè “Colpendo con la mazza”, nella quale si è scagliato contro la Cev, la Conferenza episcopale venezuelana, ora sotto attacco per aver chiesto “misure di grazia che restituiscano la libertà a coloro che sono detenuti per ragioni politiche“.

La richiesta, avanzata dai vescovi locali in una Lettera pastorale pubblicata in vista della canonizzazione di José Gregorio Hernández e madre Carmen Rendiles il 19 ottobre, ha mandato su tutte le furie il ministro dell’Interno, che ora accusa la Chiesa locale di strumentalizzare la “fede religiosa del popolo” per il “tornaconto del proprio gruppo”. “Perché questi avvoltoi della Conferenza episcopale non dicono niente sugli attacchi degli Stati Uniti alle imbarcazioni di pescatori?”, ha aggiunto il numero due del chavismo in riferimento all’ormai sistematico affondamento di navi venezuelane, presuntamente cariche di droga, da parte dell’esercito Usa.

“Non hanno neppure celebrato una Messa per i morti dopo i primi raid sulle imbarcazioni“, ha proseguito Cabello, secondo il quale i presuli non hanno detto nulla neppure a difesa dei “300mila venezuelani a cui è stata sospesa la Protezione temporanea” negli Stati Uniti. Palazzo di Miraflores inasprisce quindi i toni contro la Chiesa locale, che nei giorni scorsi avevano condiviso un elenco di prigionieri più a rischio, da rilasciare con urgenza, in continuità alla richiesta di aiuto rivolta dallo stesso Nicolas Maduro a papa Leone XIV.

Eppure l’annuncio della canonizzazione del 19 ottobre aveva portato risultati inattesi nei giorni precedenti, con le visite familiari concesse a decine di prigionieri – tra cui gli italiani con doppio passaporto Perkins Rocha e Biagio Pilieri – oltre alle recenti aperture nei confronti della Farnesina verso la scarcerazione dell’operatore umanitario Alberto Trentini, non annoverabile tra i prigionieri politici, perché ostaggio, senza accuse né legami con il Paese sudamericano.

D’altra parte le famiglie dei detenuti locali cercano di tenere viva la speranza, con Messe a Caracas e dintorni, dove pregano per il rilascio dei loro cari. Il clamore per i detenuti raggiunge anche le capitali del mondo – Madrid, New York, Sidney – e persino il confine colombo-venezuelano, il Puente Simón Bolívar, con il leitmotiv di una “canonizzazione senza prigionieri politici”.

Pesa tuttavia l’escalation nel sud dei Caraibi e nello spazio aereo di Caracas, dove le ultime notti sono state segnate da voli degli F-35 statunitensi, pattugliamenti delle Forze armate venezuelane e i movimenti, via mare, dei Destroyer al largo del Venezuela. “Dobbiamo prepararci al peggio”, è stato il commento del ministro della Difesa Vladimir Padrino López mentre annunciava il Piano “Independencia 200″, che prevede un dispiegamento militare capillare in tutto il Paese e la ricognizione di riserve alimentari, strutture sanitarie, radio comunitarie e mezzi di comunicazione. “L’imperialismo gringo agisce con un’irrazionalità quasi disumana”, ha detto il ministro della Difesa, sottolineando che “dall’egemone si attende qualsiasi barbarie”.

Il tempo stringe e i canali diplomatici restano chiusi dopo l’ultimo dietrofront dell’amministrazione Trump, a cui Maduro aveva offerto – attraverso l’interlocutore Usa Ric Grenell – una corsia preferenziale sul petrolio venezuelano. Secondo l’ex-ammiraglio Edgar Morillo “Padrino López parla di attacco imminente perché, almeno per ora, la trattativa non è possibile” e “se non si raggiunge un accordo l’azione militare potrebbe verificarsi in qualsiasi momento”. Ne è convinta la Nobel per la pace, María Corina Machado, che prevede a El Mundo e La Nación la caduta di Maduro, “con o senza negoziati”.

La Nobel assicura che “se Maduro vuole la pace dovrebbe andarsene ora”, osservando che “il rapporto di forza è cambiato” dal momento in cui il presidente Usa Donald Trump ha preso “la ferma decisione” di “combattere il narcotraffico”. Le affermazioni di Machado, da sempre vicina agli ambienti di Vox e a Javier Milei, sono state contestate da Maduro, il quale risponde che “il 90% dei venezuelani respinge” la leader dell’opposizione, paragonandola alla Sayona, un personaggio animistico appartenente alle fiabe locali. Ma al di là dell’uso delle parole, l’escalation si evince anche in altri segnali, come la nascita della Joint task force annunciata dal segretario di Guerra Pete Hegseth su ordine di Trump.

“Tutte le frecce puntano a un regime change“, è quanto afferma il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, mentre Washington sostiene di avere già dispiegato nei Caraibi i contingenti necessari per la “neutralizzazione militare” di Caracas e l’occupazioni porti, aeroporti e luoghi strategici. Lo sa bene il corpo diplomatico di Mosca, i cui familiari sono usciti da Caracas in via precauzionale. Dopo il Nobel alla Machado, poi, è stata chiusa l’ambasciata venezuelana a Oslo.

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