Bonifiche, l’Italia delle incompiute: solo il 6% è stato completato. Baratro falde: risanato appena il 2%

  • Postato il 7 maggio 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Una media di appena 11 ettari bonificati all’anno, gravi ritardi amministrativi e 35 reati di omessa bonifica dal 2015 al 2023 con Sicilia, Lazio e Lombardia a registrare più illeciti. In Italia, le bonifiche e il ripristino ambientale degli ex siti industriali e delle aree inquinate sono sempre più in stallo. Su quasi 150mila ettari di aree a terra inquinate, ricadenti in 41 Siti di interesse nazionale perimetrati (sui 42 censiti dal ministero della Transizione ecologica), solo il 24% di suolo è stato caratterizzato e solo il 6%, invece, è stato bonificato. Non va meglio per le falde, bonificate per appena il 2%. Con l’ultimo aggiornamento dei dati messo a disposizione dal Mase (giugno 2024), in nessun Sin il procedimento di bonifica si ritiene concluso per il 100% della superficie. Con l’attuale media di 11 ettari bonificati all’anno, ci vorranno mediamente – per i Sin più fortunati – almeno 60 anni prima di vedere l’iter concluso. Eppure il giro d’affari del risanamento ambientale si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Il report ‘Le bonifiche in stallo’ viene presentato da Acli, Agesci, Arci, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera, a conclusione della campagna itinerante ‘Ecogiustizia subito: in nome del popolo inquinato’, ossia in nome di 6,2 milioni di persone che vivono nei principali Sin e Sir monitorati, per gli aspetti sanitari, dal progetto ‘Sentieri’ dell’Istituto superiore di sanità. I 41 Siti di Interesse Nazionale perimetrati coprono un’area di 148.598 ettari e sono presenti in tutte le regioni, ad eccezione del Molise. Di questi, quasi 74mila sono a Casale Monferrato (a terra), altri 50mila tra mare e terra in Sardegna, nel sito Sulcis-Iglesiente-Guspinese, nella Provincia Sud Sardegna. A Casale Monferrato aveva sede lo stabilimento Eternit (tra i più grandi d’Europa). Il nome del Comune è associato all’amianto, dato che qui negli anni ‘70 proveniva il 40% di tutta la produzione nazionale.

Tutti i ritardi delle bonifiche dei Sin – Sul totale di quasi 150mila ettari perimetrati in Italia, ad oggi solo 29.266 ettari di suolo sono stati caratterizzati, definendo tipologia e diffusione dell’inquinamento, step fondamentale per progettare gli interventi necessari. Solo per il 5% del terreno delle aree perimetrate (6.188 ettari) è stato approvato un progetto di bonifica o di messa in sicurezza e solo il 6% dei suoli (7.972 ettari) ha raggiunto la bonifica completa. Il 23% delle acque sotterranee ha il piano di caratterizzazione eseguito e solo il 7% ha il progetto di bonifica o di messa in sicurezza approvato. Scende al 2% la percentuale che vede il procedimento di bonifica concluso. Una situazione evidenziata anche nell’ultimo rapporto della Corte dei conti sul “Fondo per la bonifica e la messa in sicurezza dei Siti di Interesse Nazionale”: non solo le attività di bonifica avanzano lentamente, ma più della metà dei procedimenti attivi si trova ancora nella fase preliminare, nella quale lo stato di contaminazione non è ancora chiaramente definito ed individuato. “Per i Sin ‘meno virtuosi o fortunati’ meno fortunati, i tempi sono paragonabili a quelli per smaltire le scorie nucleari, centinaia di anni se non qualcosa di più in alcuni casi” spiega Legambiente. Bicchiere mezzo pieno, invece, per i Siti di Interesse regionale (Sir). Secondo gli ultimi dati raccolti e pubblicati da Ispra, i siti interessati da procedimenti di bonifica nel 2023 sono complessivamente 38.556, dei quali 16.365 con procedimento in corso (42%) e 22.191 (58%) con procedimento concluso.

I rischi per la salute – Per quanto riguarda gli impatti legati alla salute, secondo lo studio Sentieri nelle aree inquinate oggetto di studio, si registra “un eccesso di mortalità e di ospedalizzazione rispetto al resto della popolazione”. Ad esempio la mortalità per mesotelioma della pleura è risultata in forte eccesso (2-3 volte in media ma con punte fino a 15 volte) nelle aree con presenza di amianto (Emarese, Balangero, Casale Monferrato, Broni, Bari-Fibronit, Biancavilla) e nei Sin con aree portuali e discariche, la mortalità per tumore del colon retto è in eccesso nei Sin con impianti chimici (4% tra i maschi e 3% tra le femmine), per i tumori della vescica è stato registrato un eccesso del 6% tra la popolazione maschile dei siti con discariche di rifiuti pericolosi. Nel VI rapporto Sentieri c’è anche un capitolo dedicato all’esposizione a inquinamento dell’aria in 16 Sin, con impianti industriali nei quali sono stati stimati 1.215 e 1.383 decessi attribuibili rispettivamente a esposizione a PM2,5 e PM10. Circoscrivendo l’analisi sui residenti, entro un chilometro dagli impianti risultano attribuibili a inquinanti atmosferici circa il 6% di tutti i decessi.

Il gap tra la normativa e la realtà – A livello nazionale sono due i talloni d’Achille evidenziati nel report. Il primo riguarda il divario tra quanto previsto dalla normativa e quanto realizzato nella pratica. La tempistica stabilita dalla legge prevede una deadline di 18 mesi per completare le prime tre fasi, ossia caratterizzazione del sito, analisi dei rischi associati alla presenza delle sostanze inquinanti rilevate e predisposizione del Progetto operativo di bonifica (Pob) o di messa in sicurezza operativa/permanente del processo amministrativo per procedere alle bonifiche dei Sin. Tempi però non rispettati, visto che ci si impiegano anni, se non decenni. Il secondo tallone riguarda la mancanza in Italia di una strategia nazionale delle bonifiche, uno strumento fondamentale per velocizzare il risanamento ambientale. Secondo stime di Confindustria, le risorse necessarie per bonificare i Sin presenti in Italia si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro e se le opere partissero oggi, in cinque anni si creerebbero quasi 200mila posti di lavoro con un ritorno nelle casse dello Stato di quasi 5 miliardi di euro fra imposte dirette, indirette e contributi sociali. Vale la pena ricordare che il problema delle bonifiche riguarda anche l’Europa. L’Agenzia economica europea ha stimato l’esistenza di 2,8 milioni di siti contaminati in Europa, 1,4 milioni sono però quelli registrati. Solo l’8,3% di quelli registrati (115.385) risulta bonificato e solo lo 0,7% (10.548) risulta essere sotto procedura di bonifica.

I reati di omessa bonifica – L’altra spia rossa, in Italia, è rappresentata dal rapporto tra i 241 controlli e dai 35 reati di omessa bonifica accertati dalle forze dell’ordine dal 1 giugno 2015 (anno dell’entrata in vigore della legge sugli ecoreati che prevede questo delitto specifico) al 31 dicembre 2023. Parliamo di un reato accertato ogni 6,8 controlli, 50 denunce e 7 arresti. A livello regionale, in questi nove anni la Sicilia risulta essere la prima regione con 17 reati, seguita da Lazio e Lombardia, a quota 5 reati a testa. Terzo posto per la Calabria con tre reati e al quarto la Campania, con due. La Sicilia è anche la regione con il maggior numero di denunce (25 tra enti o imprese e persone fisiche) e sequestri (sei). “L’esposizione cronica di oltre il 10% della popolazione residente nei Sin e Sir a rischi permanenti per la salute – commentano le associazioni – è responsabilità degli inquinatori, ma anche dello Stato e dei Governi regionali”. Per questo le associazioni presentano anche la loro road map nazionale con 12 priorità, suddivise in tre grandi aree di intervento per accelerare il processo di bonifica: governance con aspetti normativi e procedurali, integrazione degli aspetti sanitari, la reindustrializzazione per piccoli lotti”.

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Il Fatto Quotidiano

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