Borgonzoni affonda la legge Franceschini: sarà ora in grado di creare una nuova architettura normativa?

  • Postato il 22 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La notizia meritava ben altra eco mediatica, ma soltanto i due maggiori quotidiani economici (Il Sole 24 Ore e Italia Oggi) l’hanno rilanciata, e per di più solo con due trafiletti. Eppure l’annuncio ha del clamoroso: la “morte annunciata” della Legge Franceschini, la norma che dal 2016 disciplina l’intervento pubblico nel settore cine-audiovisivo, avendo portato il sostegno statale dai 400 milioni di euro del primo anno fino al picco dei 750 milioni del 2022 (circa 700 milioni nel 2025).

Giovedì mattina 20 novembre, la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni ha usato formule che non lasciano margini interpretativi: basta “toppe”… servono “tetti” alle varie linee di finanziamento… occorre una legge “interamente riscritta”, perché quella attuale sarebbe diventata un “mostro”. Testuale: “abbiamo già messo tante regole dove c’erano criticità, ma va rivista tutta la norma. Dal prossimo anno non esisterà più la Franceschini. È inutile continuare a mettere toppe, perché alla fine si rischia di creare solo un mostro” (sic).

L’effetto è straniante. Dopo oltre due anni di interventi “correttivi”, decine di incontri con le categorie professionali (non tutte, e dando sempre più ascolto ai “big player”, i cinematografici dell’Anica ed i televisivi dell’Apa), ripetute rassicurazioni sulla assoluta bontà della riforma in costruzione… si getta la spugna? Si azzera tutto? Si butta tutto all’aria?!

Uno dei rarissimi analisti critici del sistema, l’avvocato Michele Lo Foco, membro (dissidente) del Consiglio Superiore del Cinema e Audiovisivo (massimo organo di consulenza del Ministero della Cultura, ma di fatto inascoltato dal Ministro Alessandro Giuli e dalla Sottosegretaria leghista), ha commentato con ironica soddisfazione: “allora la Borgonzoni mi sta dando ragione!”. In effetti, la sortita di Borgonzoni appare ai limiti dell’incredibile, perché di fatto cestina tutto il suo intenso lavorio relazionale (e normativo-redazionale, per quanto riguarda le tante modifiche ai decreti ministeriali e direttivi), finalizzato ad una radicale riforma della Legge n. 220 del 2016.

Da anni segnalo – spesso in solitudine – le tante falle della Legge Franceschini: prima fra tutte, la perdurante assenza degli strumenti tecnici per valutarne l’efficacia. La “valutazione di impatto” prevista dalla legge stessa non è mai stata realizzata in modo serio. L’assenza di una base conoscitiva ha favorito derive di ogni tipo, incluse pratiche basse, veri e propri abusi e finanche dinamiche truffaldine. Con il rubinetto pubblico aperto, un sistema già privo di autocoscienza si è dilatato senza controllo, soprattutto attraverso un uso sproporzionato ed abnorme del “tax credit”, la cui voragine finanziaria è ormai prossima ai 2 miliardi di euro.

L’ex direttore generale Nicola Borrelli ha segnalato a tutti i ministri avvicendatisi nel corso degli anni – da Franceschini (Pd) a Bonisoli (M5s), da Sangiuliano (FdI) a Giuli (FdI) – che i conti non tornavano. Le reazioni sono sempre state caute, quando non contraddittorie: prevaleva sempre la paura che “il settore” potesse insorgere. Con l’arrivo di Gennaro Sangiuliano, si è aperta la fase più confusa, tipica di una sceneggiata: da un lato, annunci di tagli radicali, dall’altro la delega della riforma alla sempre ottimista (e sostanzialmente conservatrice) Borgonzoni… Nel corso degli ultimi tre anni, la Sottosegretaria ha ascoltato più i grandi gruppi – Anica e Apa e Netflix – che i produttori indipendenti, gli autori e le maestranze. Il risultato è un impianto di riforma incompleto, disorganico, privo di visione strategica, rallentato dai ricorsi al Tar e – soprattutto – deficitario di un confronto serio con tutta la “comunità” professionale.

La tanto decantata riforma non ha scalfito gli interessi dei “big player” – grossi produttori, emittenti televisive, multinazionali, piattaforme – andando invece a colpire i piccoli, coloro che sono sganciati dalle logiche delle potenti lobby. La macchina ministeriale, già fragile (e sottodimensionata come organico), ha rallentato ulteriormente… Borgonzoni giovedì ha anche aggiunto che confida che il Fondo Cinema e Audiovisivo, ridotto nella bozza di Finanziaria 2026 da 700 a 550 milioni di euro, possa risalire per il 2026 a quota 650 milioni: avrà veramente convinto il resistente suo collega di partito, il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti?

Ancora una volta, annunci rassicuranti, in linea con quella strategia comunicazionale che, negli ultimi anni, ha consentito al governo di costruire una narrazione distorta del settore: per anni e anni Borgonzoni ha dichiarato che il sistema era ben sano… Sono stati ignorati i segnali di allarme (botteghini in calo, cinematografi a rischio chiusura, film italiani assai poco visti, export modestissimo, assenza di regole temporali per la trasmissione in tv o sulle piattaforme…), ma chi segnalava le dinamiche degenerative (io stesso, assieme a Michele Lo Foco) veniva tacciato di disfattismo, di catastrofismo e di eresia. Poi è improvvisamente scoppiato “lo scandalo” del tax credit.

Tardiva l’illuminazione della Sottosegretaria sulla via di Damasco, ma ben venga – quindi – se avrà la capacità di impostare seriamente una nuova architettura normativa. Visti i precedenti, è lecito maturare perplessità, in perdurante assenza di adeguata strumentazione tecnica. Luigi Einaudi si rivolta – una volta ancora – nella tomba: il suo mitico monito di “conoscere per governare” non appartiene purtroppo alla cultura della Sottosegretaria delegata.

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Il Fatto Quotidiano

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