Calabresi nel mondo, Sandra Misale e la sua battaglia contro il gene Kras
- Postato il 8 maggio 2025
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Calabresi nel mondo, Sandra Misale e la sua battaglia contro il gene Kras
Sandra Misale, originaria di Palmi, guida un gruppo alla Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland: «La mia vita in laboratorio alla ricerca dei farmaci per bloccare il gene KRAS»
PALMI – «Direi che possiamo darci del tu». Inizia così l’intervista a Sandra Misale e dietro queste parole c’è tutta la sua semplicità che conserva nonostante gli importanti risultati già raggiunti nel settore della ricerca.
Sandra Misale, 40 anni, è originaria di Palmi, oggi è Assistant Professor alla Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland. Qui, nel dipartimento di oncologia di uno degli ospedali più importanti degli Stati Uniti, ha fondato il suo gruppo di ricerca, il Misale Lab, nel 2023. «Mi fa importante pensare a questa cosa – aveva detto qualche tempo fa la Misale nel corso di un’intervista – ma negli Stati Uniti è usuale che il nome di un laboratorio di ricerca coincida con il cognome del ricercatore che lo ha fondato».
Dopo la maturità linguistica conseguita a Palmi, al liceo “Corrado Alvaro”, Sandra Misale ha iniziato il suo percorso di studi all’Università di Torino, dove nel 2009 si è laureata in Biotecnologie Bio-molecolari; dopo la laurea ha proseguito gli studi conseguendo nel 2014 un dottorato di ricerca in Medicina Molecolare, sempre all’Università di Torino. L’anno successivo ha deciso di prendere quell’aereo che le ha cambiato la vita, dando il via a una carriera fatta di impegno, sacrifici, soddisfazioni: nel 2015 ha intrapreso un lungo percorso di formazione post dottorato iniziando dal Massachusetts General Hospital della Harvard Medical School di Boston fino al 2017, quando ha iniziato a lavorare come Senior Research Scientist al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York.
La ricercatrice Sandra Misale lavora su una delle frontiere della scienza e della medicina contemporanee: non considera il singolo tumore ma studia la lesione genetica del paziente, analizza la biologia della mutazione, lavora sul mix di farmaci indicati per la cura ai pazienti. Misale è una degli oltre 15.000 ricercatori italiani trasferitisi negli Stati Uniti d’America (tanti sono, secondo i dati della NSF, la National Science Fundation, i nostri concittadini che vivono nel Nuovo Continente e che svolgono ricerca), tutte menti brillanti che si sono formate in Italia e che hanno poi deciso di lasciare il Paese d’origine per lavorare in un luogo che da sempre rappresenta un punto di riferimento nel campo della ricerca scientifica.
Durante il dottorato di ricerca, la dottoressa Misale – o meglio Sandra, come preferisce essere chiamata – ha individuato e caratterizzato le basi molecolari della resistenza secondaria alle terapie mirate che inibiscono la funzione del recettore del fattore di crescita epidermico, gli anti-EGFR, nel carcinoma del colon-retto e ha ricevuto il premio “Marisa Colbacchini” per la migliore tesi di dottorato italiana in scienze oncologiche.
E pochi giorni fa ha ricevuto un altro riconoscimento importante, giunto dalla American Association for Cancer Research, nel corso del meeting annuale che si è svolto a Chicago per il suo prezioso contributo allo studio della resistenza primaria e secondaria a terapie a bersaglio molecolare. Lo studio che la ricercatrice Misale ha condotto insieme a una équipe di studiosi e ricercatori, mostra come la crescita di alcuni tumori è influenzata da alcune mutazioni del gene RAS, il gene responsabile della produzione di una proteina che regola la crescita delle cellule.
Dottoressa Misale, intanto congratulazioni per questo importante successo ottenuto di recente. Come ha reagito quando ha appreso di aver ricevuto questo riconoscimento dall’American Association for Cancer Research e quali riflessioni professionali e personali ha suscitato in lei?
«Grazie davvero. Ma possiamo darci del tu? Questo premio significa molto per me, è simbolo del mio orgoglio per il mio fantastico gruppo di ricercatori. Dietro questo premio ci sono anni di lavoro e tante storie di pazienti. È di sicuro una grossa soddisfazione personale anche se, sempre e comunque, il riconoscimento più grande arriva quando le ricerche diventano standard terapeutici utili per i malati di cancro».
Cosa ti ha spinta a studiare per diventare ricercatore in un campo verso il quale si nutre molta speranza di trovare una cura, essendo i tumori una delle cause di mortalità più diffuse?
«Non esiste un solo tipo di cancro e una sola “cura” contro il cancro. Questo insieme di malattie è estremamente eterogeneo e cambia nel tempo in risposta alle terapie. Ho sempre trovato questo concetto interessante perché dal mio punto di vista è come studiare l’evoluzione in tempo reale. Capire questi fenomeni è la chiave per trovare nuove terapie e per migliorare quelle correnti».
Quali sono state le figure che ti hanno ispirata e supportata per affrontare le sfide della ricerca?
«Tutti i miei mentori passati e presenti sono stati importantissime fonti di ispirazione per me; mi hanno insegnato i metodi e i modi ma soprattutto hanno saputo incoraggiarmi e supportarmi durante questi anni. Sono stata e sono ancora oggi molto fortunata ad avere così tante belle persone (e grandi scienziati) a cui potermi riferire».
Qual è il focus principale della tua ricerca attuale?
«Nel mio laboratorio studiamo una nuova classe di farmaci antitumorali che bloccano KRAS, uno dei geni più mutati nei tumori umani. Per decine di anni, questo gene mutato è stato ritenuto “impossibile da bloccare farmacologicamente”, mentre oggi abbiamo finalmente tantissimi farmaci in sperimentazione. Il nostro lavoro si basa sul capire come far funzionare questi nuovi farmaci al meglio, per poter curare tumori come quelli del pancreas, del colon, del polmone e anche alcune patologie tumorali ematologiche».
Ospite di Fabio Fazio insieme al professore Roberto Burioni a “Che tempo che fa”, Sandra Misale un anno fa ha parlato di questo importante studio sulla nuova classe di farmaci antitumorali che sarebbero efficaci su circa il 30% dei tumori.
Come vivi il fatto di lavorare in un Paese che non è il tuo? Hai pensato a un futuro in Italia, ti piacerebbe poter dare il suo contributo per il tuo Paese?
«L’Italia mi manca ovviamente, e non escludo di tornarci un giorno. Però voglio precisare che il lavoro e i risultati che facciamo e otteniamo qui contribuiscono ad avanzare la ricerca contro il cancro a livello globale. Quindi il nostro contributo arriva già al mio Paese d’origine».
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