Cambio nome per la ‘strada dei mori’ a Berlino: revisione critica o becera cancel culture?

  • Postato il 3 settembre 2025
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Alla fine è successo: la Mohrenstraße (cioè “strada dei mori”), un’importante via del centro di Berlino che costeggia il celebre Gendarmenmarkt e dà il nome ad una fermata della metropolitana, cambia nome. Dal 23 agosto scorso è dedicata a Anton Wilhelm Amo, filosofo tedesco di origini ghanesi vissuto nella prima metà del ‘700.

L’iniziativa risale al 2021, quando il sindaco del quartiere di Mitte emette un provvedimento per cambiare il nome, considerato ormai contrario alla sensibilità e ai valori democratici in quanto retaggio di un passato razzista e colonialista. Che il cambio di nome sia avvenuto solo ora dipende dalla lunga e tortuosa vicenda giudiziaria che l’ha interessato: il provvedimento è stato impugnato da vari residenti davanti alla giustizia amministrativa la quale non si è mai pronunciata sul connotato razzista o colonialista del termine, ma dopo alcune giravolte ha essenzialmente rigettato tutti i ricorsi, l’ultimo un giorno prima della cerimonia inaugurale del nuovo nome.

Revisione critica o becera cancel culture? Chi si oppone al cambio asserisce a vario titolo che la denominazione Mohrenstraße (la cui origine resta tutt’ora incerta) non abbia mai avuto alcun connotato dispregiativo e/o razzista, ma che sia semplicemente dovuta al fatto che in quella via furono storicamente acquartierati degli africani: secondo alcuni, schiavi, secondo altri componenti della banda militare prussiana dei giannizzeri, secondo altri ancora, membri di una delegazione di diplomatici dell’attuale Ghana, dove al tempo il regno di Prussia aveva stabilito la colonia commerciale di Groß Friedrichsburg.

Il termine “Mohr” non avrebbe mai avuto – né allora né tantomeno oggi – un connotato dispregiativo. Cambiare nome, per di più, significherebbe tentare di cancellare un fatto storico.

Difficile non rendersi conto che il ragionamento segue la stessa logica demenziale del “Mussolini fece anche cose buone”. Può anche darsi (anche se sarebbe da verificare) che il termine non abbia mai avuto accezione dispregiativa: ma è anche vero che nell’800 era considerato totalmente normale che i paesi europei si spartissero l’Africa come se fosse il giardino condominiale (leggere gli atti della Conferenza di Berlino del 1884 per credere); e sì, anche Mussolini qualcosa di buono lo fece, questo però non significa che oggi riteniamo normale, eticamente difendibile o accettabile né il colonialismo, né il regime fascista.

Quando l’azienda dei trasporti pubblici di Berlino dovette affrontare il problema di ribattezzare l’omonima fermata della metropolitana, qualcuno propose di chiamarla Glinkastraße, come la via che incrocia la Mohrenstraße. Emerse un problema: Glinka, compositore e fondatore della scuola nazionale russa a quanto pare era, come moltissimi dei suoi contemporanei, un convinto antisemita. L’episodio ha portato acqua al mulino dei contrari: allora perché rinominare Mohrenstraße e non Glinkastraße? E magari, già che ci siamo, Togostraße e Kameruner Straße (entrambe ex colonie tedesche)?

Ci si potrebbe porre la stessa domanda in merito a certa odonomastica italiana. Che effetto fa passeggiare in vie dedicate all’Amba Aradam, località in Etiopia in cui l’esercito italiano sconfisse quello etiope, e dove Badoglio (intestatario anch’egli di diverse vie) fece gasare con l’iprite intere colonne di etiopi in fuga e un gran numero di civili? O nelle innumerevoli vie e piazze dedicate alla Libia e alla Cirenaica, dove il regime fascista nelle persone di Badoglio (ut supra) e Rodolfo Graziani (affettuosamente soprannominato “macellaio d’Etiopia”, al quale qualche anno fa il comune di Affile pensò bene di dedicare addirittura un mausoleo) costruì campi di concentramento in cui i libici perirono a centinaia di migliaia? E nelle vie e piazze Adua, Massaua, Axum e via dicendo?

Checché se ne pensi, una cosa è certa: l’odonomastica non è un ricettacolo di personaggi ed eventi storici, altrimenti a quest’ora avremmo via Mussolini e piazza Totò Riina. Se una via viene dedicata a qualcuno o qualcosa significa che la collettività ne condivide il valore simbolico. E siccome i valori cambiano, è fisiologico che cambino anche i nomi delle vie, come del resto è sempre avvenuto.

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