C’è un’altra causa dei disastri della politica culturale italiana: le commissioni ministeriali
- Postato il 11 luglio 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 1 Visualizzazioni
.png)
Lo scenario della politica culturale italiana continua a caratterizzarsi per la distanza (abissale) tra la “versione governativa” e la realtà dei fatti: all’etereo distacco del ministro Alessandro Giuli, all’ostinato ottimismo della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (Lega Salvini) ed al pacato entusiasmo del Sottosegretario Gianmarco Mazzi (FdI), si contrappone la vera verità di settori del sistema che si agitano in crisi pervasive e profonde, con tassi crescenti di disoccupazione…
Quel che emerge mediaticamente è soltanto la punta dell’iceberg, tra “caso Kaufmann” e commissioni ministeriali sempre più contestate.
Dopo la “tempesta mediatica” del “caso Francis Kaufmann” alias Rexal Ford o Matteo Capozzi (il presunto assassino di Villa Pamphilj, uomo dalle personalità multiple, e tra queste quella di regista), la giornata di venerdì 11 luglio registra un totale “silenzio stampa”: nessun quotidiano, nemmeno La Verità, torna a battere la grancassa sugli scandali del “tax credit” e sulla “mangiatoia” degli intellettuali di sinistra…
E nessuno sembra ancora prestare adeguata attenzione ad un’altra vicenda che abbiamo segnalato per primi su questo blog: da qualche settimana il Ministero della Cultura ha deciso di seguire – su improvvisa richiesta di una funzionaria dell’Ufficio Centrale di Bilancio della Ragioneria Generale dello Stato (Mef) presso il Mic – una procedura che da decenni era stata bypassata, per favorire la crescita del settore dello spettacolo (una sorta di “eccezione culturale”). Il Mic chiede ora all’Agenzia delle Entrate la verifica di correttezza tributaria (per pagamenti oltre la soglia dei 5.000 euro), prima di procedere ai bonifici per contributi di ogni tipo, e l’Agenzia delle Entrate e Riscossione si è quindi scatenata con pignoramenti presso il Ministero della Cultura. Si tratta di una bufera che mette a repentaglio centinaia e centinaia di operatori del settore. Il ministro Giuli non ha ancora risposto ad un’interrogazione presentata in materia dal senatore Mario Turco (M5s) il 23 giugno scorso.
Da qualche giorno è però emersa una questione correlata al tema “sostegno pubblico alla cultura”: le commissioni ministeriali. Ovvero “chi” decide di assegnare danari pubblici a “chi”: si tratta di una sorta di “corpo intermedio” tra il Principe ed il Popolo. Nel caso dello spettacolo e del cinema, queste commissioni assumono decisioni particolarmente importanti, gestiscono processi selettivi per centinaia di milioni di euro ogni anno: valutazioni che determinano talvolta la vita o la morte dei soggetti che bussano alla porta del Ministero della Cultura.
Va precisato che, per quanto riguarda il cinema e l’audiovisivo, queste commissioni affrontano solo i cosiddetti “aiuti selettivi”, e non il “tax credit”, che viene invece assegnato “automaticamente” sulla base di meri pre-requisiti amministrativi: in assenza di un sistema di validazione tecnica efficace, e di una qualche valutazione di natura qualitativa, nel corso degli anni ci sono stati “im/prenditori” che hanno approfittato delle maglie larghe del sistema. Se ci son stati approfittatori, la responsabilità non va però cercata nel Direttore Generale del Cinema e Audiovisivo (Nicola Borrelli, che si è diplomaticamente dimesso la settimana scorsa), ma nella struttura stessa della “Legge Franceschini” (la n. 220 del 2016), che non ha mai richiesto requisiti stringenti.
L’ex ministro Gennaro Sangiuliano (FdI) è stato il primo esponente politico ad aver denunciato che “il sistema” voluto da Franceschini stava determinando non soltanto sprechi e distorsioni (e truffe), ma un “buco di bilancio” che l’Istituto italiano per l’Industria Culturale IsICult stima nell’ordine di ben 1,5 miliardi di euro…
Il ministro Giuli sta ragionando sulla istituzione imminente di una commissione “ad hoc” per evitare ulteriori degenerazioni nella gestione del “tax credit”, al di là della controversa riforma affidata alla Sottosegretaria di lungo corso Borgonzoni, riforma contestata da più fronti. Martedì scorso 8 luglio una parte dei produttori cinematografici che erano ricorsi al Tar del Lazio contro la riforma (assistiti dagli avvocati Christian Collovà ed Alessandro Malossini) hanno rinunciato all’azione, mentre resiste un altro gruppo (assistito dall’avvocato Andrea Lo Foco)…
Il problema delle “commissioni” è su entrambi i versanti: “cinema e audiovisivo”, e “spettacolo dal vivo”, ovvero teatro, musica, danza, circhi. Mesi fa, la Commissione “Promozione” della Dg Cinema e Audiovisivo (12 membri) ha visto la quasi totalità dei propri componenti dimettersi (anche per latenti conflitti di interesse), ed anche sulla Commissione “Produzione” (15 membri) aleggiano perplessità sulla stessa coordinatrice (Ginella Vocca, fondatrice del Medfilm Festival)…
Il 19 giugno 2025, 3 membri dei 7 della Commissione Teatro, presieduta da Alessandro Voglino, si sono dimessi, criticando le decisioni assunte dalla maggioranza dei membri (4 su 7), in particolare per il “declassamento” del Teatro “La Pergola” di Firenze: da segnalare però che i 4 membri ancora in carica sono proprio quelli scelti direttamente dal Ministro, mentre gli altri 3 sono stati nominati dalla Conferenza Stato-Regioni-Autonomie Locali… La Commissione ha determinato uno sconvolgimento degli assetti storici: molti soggetti beneficiari da anni dei contributi sono stati esclusi, a vantaggio di “nuovi entranti”. Anche in questo caso, la polemica oscilla tra meritocrazia, estetologia e amichettismo.
Nessuno ha però finora affrontato il problema alla radice: la formazione di queste commissioni di “esperti”.
Prevale la logica dell’“intuitu personae” del Principe di turno. Non sono previsti avvisi pubblici per sollecitare le candidature. Non sono previste valutazioni comparative dei curricula. Tutto avviene nelle ovattate stanze del Collegio Romano. Va dato atto che, in occasione della nomina della penultima Commissione Cinema, nel marzo 2022, l’allora ministro Franceschini aveva almeno promosso un avviso pubblico a presentare candidature: di cv ne arrivarono circa 80, per 15 membri… ma ha poi letto i curricula, e con quale criterio ha esercitato la discrezionalità consentitagli ahinoi da leggi lasche?! Trasparenza zero. Discrezionalità totale.
Semmai il governo guidato da Giorgia Meloni volesse dimostrare di essere “diverso” e “altro” rispetto ai predecessori – in nome di quella “meritocrazia” tanto invocata in campagna elettorale, ma poco praticata nei primi due anni di sua gestione del potere – il Ministro Alessandro Giuli dovrebbe cambiare radicalnente le regole del gioco e promuovere procedure selettive tecnocratiche (con pubblica comparazione dei curricula) e trasparenti nella nomina delle prossime commissioni ministeriali.
Avrà il coraggio di farlo?!
L'articolo C’è un’altra causa dei disastri della politica culturale italiana: le commissioni ministeriali proviene da Il Fatto Quotidiano.