Chi non vota non è stupido, è deluso. Riflettiamo sugli errori di chi ha sostenuto i referendum

  • Postato il 10 giugno 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Di fronte alla sconfitta che abbiamo subito nei referendum meritoriamente promossi dalla Cgil, credo che sia opportuno fare una riflessione approfondita sulle ragioni di questo risultato.

Nella scarsa affluenza al voto ha indubbiamente pesato la scelta del governo e di larga parte dei media di oscurare la questione evitando che diventasse oggetto di un pubblico dibattito, di un confronto nel merito. Il tutto complicato dalla sfiducia verso il voto che è oramai larghissima, specie negli strati popolari. Oltre a questi elementi vi sono stati però altri motivi per cui siamo arrivati a questo risultato deludente e questi riguardano noi, chi ha promosso e appoggiato i referendum e non mi pare utile nasconderli.

Innanzitutto la torsione politicista del significato del voto, sovente presentato contro il governo e contro le destre. In una situazione in cui metà del popolo italiano non va a votare nelle elezioni perché non si ritiene rappresentato dagli schieramenti politici esistenti e in una situazione in cui una parte non piccolissima degli strati popolari vota a destra, questa scelta è stata deleteria. Ha riprodotto nella testa di milioni di persone lo scontro tra centro destra e centro sinistra, quello a cui non partecipano quando ci sono le elezioni e contemporaneamente ha reso difficile per gli elettori di destra che condividevano i contenuti dei referendum di votare. Il referendum aveva una possibilità di affermarsi se si presentava come rigorosamente sociale, per restituire diritti alle classi lavoratrici e spezzare una politica liberista che è stata praticata negli ultimi quarant’anni da entrambi gli schieramenti politici.

In secondo luogo vi è stato evidentemente un problema di credibilità tra i sostenitori del referendum, a partire dal Pd: difficile far percepire la portata della posta in gioco senza collegare ed enfatizzare il Sì al referendum ad una critica – ed autocritica – rispetto al complesso delle politiche liberiste. Ad esempio il rilevante numero di No nel referendum sulla cittadinanza – che pesano come un macigno – parlano delle politiche liberiste fatte in questi anni. Il “non ci sono i soldi” proprio del liberismo è stato alla base del “prima i nostri” con cui le destre hanno prodotto uno sfondamento culturale nelle classi popolari. Non ho qui lo spazio per approfondire ma senza affrontare di petto il liberismo è impossibile superare la devastazione che questo ha prodotto nel tessuto sociale. Così come difficile dare il segno di una “rivoluzione” senza parlare di spese militari, il cui aumento sta oggi alla base della distruzione del welfare e di un ulteriore attacco ai lavoratori e alle lavoratrici.

Ma oltre agli elementi più direttamente politici, abbiamo avuto problemi di credibilità anche su altri livelli. Pensiamo al tema dell’astensione: giusto sollevarlo, peccato che la scelta dell’astensione l’abbiamo fatta tutti. Nel lontano 2003, il referendum per estendere l’articolo 18 anche nelle aziende sotto i 15 dipendenti – la madre di tutte le battaglie – venne affossato dalla scelta dei Democratici di Sinistra (allora si chiamavano così) e della Margherita di dare indicazione di astensione.

Nella primavera del 2016 vi fu il referendum “contro le trivelle”. Stessa cosa: il Presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi così come Giorgio Napolitano, sostennero l’astensione definendo l’iniziativa referendaria “inconsistente e pretestuosa”. Come criticare la destra senza nemmeno impegnarsi a presentare una legge che abolisca il quorum nel referendum?

Mi fermo qui perché molti sarebbero gli elementi da approfondire – a partire dai No nel referendum sulla cittadinanza – ma non ne ho lo spazio. Il punto è che questo risultato ci ricorda ancora una volta che non esistono scorciatoie di schieramento per riportare al voto la nostra gente e quindi per costruire una alternativa. La mia impressione è che solo la centralità assorbente del contenuto sociale del referendum avrebbe forse permesso di far cogliere a livello popolare la possibilità di chiudere una fase della vita politica italiana: la fase del liberismo. Perché è il liberismo che ha caratterizzato – negativamente – tanto il centro destra quanto il centro sinistra.

Occorre prendere atto che il centro sinistra concreto e tutto quello che si porta dietro nella memoria delle classi popolari, non è uno strumento utile per ricostruire la necessaria fiducia popolare e tanto meno indica i percorsi attraverso cui ricostruire la forza necessaria a cambiare le cose. Per questo, nella consapevolezza che le classi popolari italiane non sono traditrici e stupide ma deluse, frantumate e prive di speranza, occorre costruire una alternativa popolare a partire dai 12 milioni di Sì per coinvolgere gli strati popolari che non sono andati a votare. A tal fine è necessario lavorare per costruire un percorso di alternativa fuori della gabbia del centro sinistra, del liberismo e dell’aumento delle spese militari.

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Il Fatto Quotidiano

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