Chiamò “leccac..o” il capo davanti a un collega, per la Cassazione il licenziamento è legittimo

  • Postato il 20 agosto 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Chiamare “leccaculo” un capo può costare un licenziamento. Legittimo per la corte di Cassazione il provvedimento nei confronti di una dipendente che insultò il superiore davanti ad un collega. Il verdetto, reso noto dal Messaggero, riguarda il caso di una donna di Acireale e risale al 2018. La Suprema corte aveva confermato la sentenza della Corte d’Appello di Catania che avevano qualificato di “notevole gravità” le condotte della dipendente che si era rivolta al suo superiore utilizzando “un epiteto volgare, in un contesto di dissenso rispetto ad una direttiva impartita, ritenendo tale espressione indice di insubordinazione”.

Tutto questo in presenza di una collega dimostrando così “un atteggiamento di sfida e disprezzo verso l’autorità“, scrivono gli ermellini nella sentenza depositata il 25 luglio scorso. La Corte d’Appello di Catania, nella sentenza del 2023, “ha valutato la gravità intrinseca dell’epiteto non come ‘alterco o diverbio” ma come una vera e propria insubordinazione “specie considerando il contesto in cui è stato pronunciato, ossia in presenza di un’altra dipendente “che ne accentua la gravità e la platealità”.

La donna, che lavorava nella sezione di Acireale dell’Associazione italiana assistenza spastici (Aias), si sarebbe rivolta al suo superiore in questo modo per rifiutare un compito a lei assegnato e in presenza di una collega. Il bersaglio dell’insulto aveva riferito tutto al presidente della onlus, che aveva deciso di interrompere il contratto della donna il 28 novembre 2018. La dottoressa, per decisione del giudice del lavoro, era stata però reintegrata e l’Aias aveva dovuto risarcirla con dodici mensilità. Decisione ribaltata in appello e confermata dalla Cassazione. La donna aveva dichiarato di aver vissuto un periodo di fragilità e “insoddisfazione lavorativa“, ma l’insubordinazione con insulto davanti ai testimoni “per la sua natura oggettivamente grave, è idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, a prescindere dalla longevità del rapporto o da asserite condizioni personali della lavoratrice”. Il fatto poi che già in passato la donna avesse dimostrato “inclinazione all’insulto e all’ingiuria” ha permesso di “valutare la personalità e l’idoneità alla prosecuzione del rapporto del lavoratore”.

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Il Fatto Quotidiano

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