Cinque Terre dalla periferia alla rivincita: Franco Bonanini ricorda come si è arrivati fin qui
- Postato il 1 giugno 2025
- Blog
- Di Il Fatto Quotidiano
- 2 Visualizzazioni
.png)
Pensi agli splendori d’Italia e dici Venezia, Roma, Firenze, la costiera amalfitana e le Cinque Terre, sì, anche loro, ormai riconosciute a livello internazionale, sono un angolo di Penisola che dallo spopolamento e dalla marginalità sono passati ad essere gioia degli occhi e simbolo mondiale di bellezza, addirittura preda ormai di un turismo eccessivo.
L’overtourism minaccia di distruggere il gioiello “verdeblu”, modellato dalla natura e dalle umane fatiche: terrazzamenti a perdita d’occhio, capolavori di viti e muretti a secco, scorci vertiginosi, eccellenze artistiche e gastronomiche. Ricordo bene i viaggi alla scoperta di Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore, gli studi di geografia umana all’università sui testi di Eugenio Turri e le letture, oggi, delle ricerche svolte sui terrazzamenti dalla prof. torinese del Politecnico Federica Corrado ad esempio, da anni impegnata in tutta Italia e anche all’estero sulle realtà montane e rurali.
Ma ricordo anche bene, partecipando al Festival della Mente di Sarzana, la quantità di stranieri (tantissimi i giovani) che oggi si accampano e mangiano e bevono e camminano per cittadine e sentieri della costa, ricordo i dialoghi con i membri del Cai che mi segnalavano l'”emergenza” legata ai turisti, gli incidenti non si sa se dire più drammatici o ridicoli, di chi passeggia lungo la “Via dell’Amore” in ciabatte o infradito o con i tacchi a spillo: “Il maggior numero di interventi di salvataggio in Italia li facciamo qui” mi dicevano.
Di overtourism abbiamo avuto un esempio durante il Covid, quando la gente assaltava letteralmente le aree montane, stendendo la tovaglia per il picnic anche sulle piste dell’elisoccorso. Anche di questo parla un bel libro appena uscito sugli incantevoli borghi tra Genova e La Spezia, si intitola L’Amore per le Cinque Terre. La storia di una vita per la propria terra. L’ha scritto, con l’aiuto del giornalista Gianni Galli, che per anni ha collaborato con lui, Franco Bonanini, l'”inventore” del paradiso terrestre oggi purtroppo quasi travolto da un infernale eccesso di turisti.
Bonanini, primo presidente e fondatore del Parco Nazionale delle Cinque Terre, ha scritto l’autobiografia per preservare il ricordo del grande lavoro fatto per portare all’onor del mondo un lembo d’Italia unico, il pezzo di Appennino settentrionale “che si getta a capofitto nel mar Ligure” scrive Fausto Giovanelli nella postfazione.
L’autore racconta e si racconta a partire dal dopoguerra, quand’era ragazzo a Riomaggiore: spopolamento e lavoro duro, una realtà fuori dal mondo. Negli Anni ’70 le Cinque Terre non le conosceva quasi nessuno. Poi, scrive Fabio Renzi nella prefazione, “Il balzo dal dopoguerra alla rinascita”: nel ’73 la prima cooperativa, nell’82 la cantina sociale, il vino diventa Doc, lo Sciacchetrà comincia a sedurre i palati, si introduce una monorotaia (come in Valtellina) per trasportare i cesti d’uva. Alla fine degli Anni Novanta le Cinque Terre vengono riconosciute Parco nazionale: è la rivincita, la periferia che si fa centro. Grazie all’orgoglio, all’intuizione e alla caparbietà di “un gran sognatore” scrive Gianni Galli.
“Alla fine degli Anni Ottanta abbiamo cominciato a puntare sul turismo – ricorda Franco Bonanini a Massimo Calandri sul Venerdì di Repubblica – ma un turismo culturale, che preservasse il territorio e chi lo abita: ci siamo concentrati su acquedotto, gas, la tv via cavo, la rinascita delle stazioncine ferroviarie e la ristrutturazione dei rustici, naturalmente sulla lotta per salvare i terrazzamenti e metter fine ai parcheggi selvaggi”.
Bonanini è stato anche un genio del marketing: giornali e tv di tutto il mondo cominciano a parlare di questo “paradiso italiano”, ci sono gemellaggi con la Cina, arrivano personaggi famosi da tutta Italia e dagli States, le Cinque Terre diventano Patrimonio dell’Unesco e dal Duemila sono visitate ogni anno da tre milioni di persone. Sono partiti da quello che reputa il punto più suggestivo: il Santuario di Montenero. “A trecento metri d’altezza, a metà tra i borghi sul livello del mare e i punti più alti delle colline”.
Il libro – uscito silenziosamente, senza tanti proclami – merita di esser letto, è anche una storia di vita: Bonanini, occhi chiari, brusco e generoso nei suoi 73 anni, nel 2010 era finito in galera per “Parcopoli”: “Non mi sono messo in tasca un centesimo – precisa a Massimo Calandri – tutto quello che ho fatto l’ho fatto per il mio paese”. Nel libro non parla della condanna e delle vicende giudiziarie, ma dice la sua su tante altre cose, vale la pena leggerlo: Gianni Galli nella presentazione ricorda la sua umiltà e il non aver mai ricercato vantaggi personali, gli riconosce di aver sempre voluto aiutare la gente, l’esser stato un precursore e l’aver tentato di contenere il turismo di massa: “Non volevo finisse così, ho difeso questo paradiso dalle speculazioni” insiste Bonanini.
Quel che resta, purtroppo, è una gemma della Madre Terra quasi trasformata in un circo di chincaglierie, gastrofighetti e turisti ciabattoni, di affittacamere e di business scatenato, specialmente in “alta stagione”. Snobbati e quasi dimenticati i terrazzamenti, il sudore e la fatica di generazioni, quasi annichilito un luogo dello spirito. Destino comune, nell’età del turbo-capitalismo, a molte mete turistiche.
L'articolo Cinque Terre dalla periferia alla rivincita: Franco Bonanini ricorda come si è arrivati fin qui proviene da Il Fatto Quotidiano.