Colpo di grazia a sostenibilità e lavoratori: così l’Ue sta affossando la due diligence

  • Postato il 21 ottobre 2025
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di Priscilla Robledo, responsabile lobby e advocacy Campagna Abiti puliti*

L’85% degli italiani ritiene che le grandi imprese, europee e non, debbano essere obbligate per legge a prevenire danni a persone, ambiente e clima, anche se ciò comporta maggiori costi; l’84% chiede che le aziende vigilino su tutta la catena del valore, assumendosi la responsabilità anche per le violazioni di filiali, partner e subfornitori — come nei casi che hanno recentemente coinvolto marchi come Loro Piana, Valentino e Armani. Il 79% si dichiara favorevole a piani obbligatori di riduzione delle emissioni di CO₂, una posizione condivisa anche da oltre il 70% di chi si colloca a destra o centrodestra. A rivelarlo è un recente sondaggio realizzato da SWG per la campagna Impresa2030, promossa da campagna Abiti Puliti insieme a Mani Tese e ASviS.

Eppure l’Unione europea sta andando in direzione ostinata e contraria.

Lunedì 13 ottobre, la commissione Affari legali del Parlamento europeo (JURI) ha approvato la propria posizione sulla proposta di pacchetto di semplificazione Omnibus I sulla sostenibilità della Commissione europea. Una notizia che può sembrare piccola e insignificante, e invece è grave.

Chi ha la responsabilità di evitare che le migliaia di persone che lavorano nelle catene di subappalti (il modello indiscusso con cui vengono prodotti oggi i beni e scambiati i servizi) vengano sfruttate? Il committente, perché ha il potere economico e contrattuale di determinare costi di acquisto e le condizioni di lavoro lungo la filiera. Se l’azienda si fregia di qualità e sostenibilità, deve garantirle non solo nei prodotti, ma anche nei diritti e nelle condizioni di chi li fabbrica per loro. Le grandi aziende devono occuparsi dei loro fornitori perché essi lavorano per loro e contribuiscono alla creazione della loro ricchezza.

Questo il senso della direttiva sulla due diligence (CS3D). Approvata in Unione europea nel luglio 2024, la CS3D si applicherà – a partire dal 2028, se entrerà in vigore – alle grandi aziende che hanno sede e/o operano in UE e prevede un processo di due diligence in linea con gli standard internazionali: obbligo di controllo esteso alla filiera per identificare gli abusi in materia di lavoro, diritti umani e ambiente e un regime di responsabilità civile unionale per la tutela giurisdizionale delle vittime di abusi aziendali.

Il percorso che ha portato alla CS3D è durato anni in cui si sono pubblicati studi, svolte valutazioni di impatto, consultati diversi stakeholder e negoziato su molti aspetti. Il risultato è stata una direttiva che ci poteva dare la speranza di contribuire a ridurre lo squilibrio di potere tra aziende, sindacati e lavoratori nelle catene di approvvigionamento e di fare un passo avanti verso la riduzione delle emissioni di CO2 a livello globale.

Poi però sono arrivate le elezioni europee del 2024, un cambio di equilibri politici, e con la relazione di Mario Draghi la nuova parola d’ordine è diventata competitività.

Pochi mesi dopo la Commissione europea ha presentato il pacchetto di revisione Omnibus, composto da due direttive: Stop the Clock (UE 2025/794) – già operativa – volta a ritardare l’entrata in vigore delle norme che cercano di affrontare in modo finalmente concreto i problemi più grandi che abbiamo di fronte: il cambiamento climatico, l’aumento della povertà e dell’insicurezza sociale, le migrazioni, lo sviluppo (direttiva sulla due diligence, direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità e tassonomia ESG) e Omnibus I – in fase di approvazione – che nel merito indebolisce ed elimina gli obblighi di controllo sulla filiera e le conseguenti responsabilità legali.

Anziché un tentativo di “limitare la burocrazia”, Omnibus è una corsa sconsiderata alla deregolamentazione. La campagna Abiti Puliti si è opposta fin da subito alla proposta della Commissione in ogni sede istituzionale disponibile, sia a Roma sia a Bruxelles. Oltre al mondo sindacale e del terzo settore, nel corso degli ultimi mesi si sono levate critiche esplicite anche da diverse parti del mondo imprenditoriale e finanziario. La principale riguarda l’incertezza e la mancanza di trasparenza, anche ai fini degli investimenti, che questa riforma Omnibus alimenta.

Il risultato di questo utilizzo quantomeno acrobatico del proprio potere di policymaking è che con questo voto i deputati europei incaricati di determinare la posizione dell’Europarlamento su Omnibus I hanno dato il colpo di grazia alla legittimità del concetto giuridico e legislativo di corporate accountability (responsabilità delle imprese). Quella che avrebbe potuto essere uno strumento importante per lavoratrici e lavoratori delle catene di produzione del valore globali, non solo tessili, che vivono con salari da fame e ai quali vengono negati i diritti fondamentali sul lavoro, ora sarà nel migliore dei casi solo uno strumento inefficace, e nel peggiore avrà l’effetto perverso di rafforzare l’impunità aziendale.

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* Campagna Abiti Puliti (CAP) è la sezione italiana della Clean Clothes Campaign. Coordinata da FAIR, vi aderiscono altre otto organizzazioni della società civile: AltraQualità, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Equo Garantito, FOCSIV, Fondazione Finanza Etica, GuardAvanti ETS, Movimento Consumatori e OEW.
La Clean Clothes Campaign è un network globale composto da oltre 220 organizzazioni della società civile e del mondo sindacale, in più di 45 paesi, che collaborano attraverso quattro coalizioni in Europa e Asia. Lavora con organizzazioni e campagne gemelle in Nord e Centro America, in Africa e in Australia. La rete lancia campagne e segue casi urgenti per sensibilizzare e mobilitare le persone a sostegno delle richieste di assistenza e solidarietà dei partner internazionali, al fine di risolvere i casi di violazione dei diritti nei paesi di produzione tessile. www.abitipuliti.org

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