Come orientarsi tra referendum, crisi di sistema e ruolo dei cattolici. La riflessione di Chiapello
- Postato il 11 giugno 2025
- Politica
- Di Formiche
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Dinamiche della politica italiana nella sedicente Seconda Repubblica: rientra in quest’ambito il fallimento dei referendum ultimi sui temi del lavoro e della cittadinanza o, meglio, che avrebbero dovuto riguardare queste tematiche. Ci sono, però, tre questioni più generali che, forse, serve osservare a monte con attenzione, ossia la Costituzione, la partecipazione/rappresentanza, il popolo e che sono utili per ragionare di una quarta a valle, il sistema politico.
Sulla Carta non si può non notare che l’attacco di queste settimana ad essa e ai meccanismi di funzionamento della democrazia in essa contenuti sono stati molti. Questo si collega direttamente, come fatto in un suo editoriale dal prof. Luca Diotallevi, alla “retorica della partecipazione”: infatti, al di là dei contenuti dei referendum, la pessima campagna fatta per far credere che il voto referendario sia paragonabile a quello politico o amministrativo, la sta facendo avanzare evidenziando, così, una crisi democratica e della comprensione degli strumenti delineati dai Padri Costituenti per il buon funzionamento di una ordinata democrazia in cui l’ipotesi dell’astensione, in tal caso, è un meccanismo prezioso contro rischi di regime, a sostegno della rappresentanza (i promotori, loro, devono dimostrarsi rappresentativi), a difesa della libertà da rischi di strapotere di singoli gruppi di pressione rispetto al potere legislativo del Parlamento. Qui tornano utili, per comprendere anche la linea seguita dai Popolari, radicati nel miglior pensiero politico di cattolici, il popolarismo, le motivazioni, ancora valide, delineate dal presidente nazionale di Italia Popolare, Alberto Monticone, in occasione dell’astensione al referendum del 2005 sulla legge 40 (cfr. a cura di Giancarlo Chiapello, La fecondità cercata). Si fa notare per saggezza la formula usata dal Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, nel suo ultimo documento finale, in cui l’invito era ad un “attento discernimento”, senza tacere che essa sì ha cercato un ragionamento sulla questione cittadinanza che evitasse lo schiacciamento nella polarizzazione che la scelta referendaria ha esasperato.
Serve, così, non lasciar cadere i temi, come anche quelli sul lavoro, come ben spiegato dalla Cisl nella sua posizione contraria a tali quesiti bocciati dai cittadini, venendosi a porre anche l’interrogativo, legato alla positiva novità della nuova legge sulla partecipazione dei lavoratori, successo del sindacato oggi guidato dalla Fumarola, se non sia tempo di una grande riflessione sul necessario passaggio da un sindacato rivendicativo ad uno partecipativo, nel senso della legge e della norma costituzionale rimasta per 80 anni inapplicata. La partecipazione sic et simpliciter e la sua retorica sono un problema politico sempre più evidente in quanto staccati completamente dalla rappresentanza: è la rappresentanza politica che porta alla partecipazione ed è quest’ultima che organizzandosi costruisce la prima, ma non possono ignorarsi, come da troppo tempo si pretende, aggravando, progressivamente, tale distacco, (senza aprire una riflessione sul “piano di rinascita democratica” della Loggia deviata P2 e le riforme che sembrano trovare purtroppo compimento), con strumenti poco rappresentativi, come leggi elettorali sempre più meramente certificatorie e riforme delle assemblee rappresentative ad ogni livello che hanno strozzato progressivamente proprio la rappresentanza fino alla cancellazione dei consigli provinciali eletti a suffragio universale e alla riduzione del numero dei parlamentari, mancherebbe solo una riforma ulteriormente verticistica come quella del premierato per completare un’opera di demolizione di cui vediamo i frutti negativi. Senza intenzione di approfondire, ma riandando al manifesto Proporzionalista lanciato dai Popolari qualche anno fa, come si può vedere anche su Formiche, sarebbe tempo di invertire la rotta con il principio proporzionale e con un riallargamento a partire dai consigli comunali per tornare a sussumere le identità e tendenze del popolo nelle istituzioni solo, in questa maniera, rianimabili.
La terza questione è rappresentata dal popolo, ossia da ciò che il fronte progressista, insieme a coloro che ne hanno una sorta di ancestrale riverenza, non capisce più perché non lo vede e non vive nel suo complesso ma solo come un aggregato di minoranze che sembrano aver sostituito il classismo classico fino al risultato individuato da Magatti già nel 2019 sul Corriere della Sera, che di solito sorprende chi ha scelto di polarizzarsi: “La cosa sorprendente è che i partiti di sinistra – che negli ultimi decenni si sono autoproclamati ‘progressisti’ – non sembrano in grado di comprendere le trasformazioni in atto. Con risultato che oggi la destra si afferma perché riesce a coagulare il malcontento che serpeggia tra ceti medi e popolari”. Per comprendere la situazione probabilmente occorre ricorrere a due pensieri di due celebri scrittori: il primo di Chesterton, “tutto il mondo moderno si è diviso in conservatori e progressisti. L’attività dei progressisti è quella di continuare a fare errori. L’attività dei conservatori è quella di evitare che gli errori siano corretti”, il secondo di Brecht “il Comitato Centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”.
Sembra proprio che, in questo cambiamento d’epoca, lo schema politico sia definitivamente in crisi e necessiti di superare questa polarizzazione che non permette al sistema politico di riprendere un autentico dinamismo democratico nel pieno rispetto di quella democrazia integrale tracciata dai padri costituenti: il modello a cui aspirare non può che essere quello delle famiglie politiche europee in cui la presenza popolare e democratico cristiana è stata fondativa ed è determinante. C’è il coraggio di molti cattolici di sottrarsi alle sudditanze ideologiche ormai invecchiate e tornare ad essere protagonisti con una identità chiara capace della triplice autonomia di analisi, valutazione e azione unica in grado di dare senso ad un centro non meramente geografico, vagamente liberalisteggiante o ancillare?
Le grandi organizzazioni radicate nei valori della dottrina sociale cristiana, anche per ricostruire un frangiflutti antiideologico a difesa delle comunità civili ed ecclesiastiche, possono ritrovare la forza di ritrovarsi come innesco in tale maniera per il bene dell’Italia e dell’Europa? “L’orizzonte potrebbe apparire sconsolante, ma dobbiamo guardare non tanto a ciò che chiassosamente occupa il centro della scena, ma piuttosto alla profondità; non conta ciò che è più clamoroso ma ciò che resiste, che ha durata perché ha verità” (Mino Martinazzoli).