Con l’estate riparte l’allerta incendi, ma spegnerli non basta più: i consigli degli esperti per i piani di prevenzione

  • Postato il 3 giugno 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Spegnere gli incendi nel modo tradizionale, quando cioè si manifestano, con i tradizionali mezzi antincendio, concentrandosi solo sulla risposta (un incendio scoppia, si cerca di spegnerlo) non basta più. Anzi, rischia di rendere gli incendi ancora più indomabili. L’approccio legato alla soppressione del fuoco non affronta inoltre né la questione della prevenzione né il recupero post incendio, così che in molte regioni si sono tra l’altro accumulate grandi quantità di materiale combustibile, aumentando i rischi. Ma in generale il comportamento estremo degli incendi, con una propagazione rapida e irregolare e un’intensità anormalmente elevate, travolge sempre di più le capacità di protezione civile e antincendio. ”È il cosiddetto paradosso degli incendi: più si diventa bravi a spegnere gli incendi, più questi diventano estremi e più è debole la capacità di prevenzione”, afferma Costantino Sirca, docente di Agraria all’Università degli studi di Sassari e membro del CMCC (Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici). “Quello del fuoco è uno dei fenomeni più antichi del mondo, ma a quanto pare, ironicamente, ne sappiamo meno di quanto sappiamo della superficie di Marte. Abbiamo la memoria corta, aspettiamo il periodo delle emergenze, finito il quale non facciamo più nulla. Ma, appunto, gli incendi stanno aumentando come virulenza, il che significa che occorre una quantità di energia per domarli pari a quella sprigionata”, prosegue Sirca.

Incendi sempre più vasti e imprevedibili

Le stagioni degli incendi, purtroppo, sono sempre più lunghe e intense, a causa del cambiamento climatico, ma anche dell’abbandono del territorio e soprattutto delle campagna. Tra il 1979 e il 2013, infatti, si sono allungate di circa il 20%. Ogni anno, 400.000 ettari della UE sono colpiti da incendi, l’85% dei quali nell’Europa meridionale, mentre i modelli previsionali indicano un aumento delle aree bruciate del 9-14% entro il 2030 e del 20-33% entro il 2050, persino nello scenario a basse emissioni. Crescono anche le emissioni legate agli incendi boschivi, che sono aumentate del 60% dal 2001: rappresentano il 37% delle emissioni totale da fonti naturali.

“Gli incendi di oggi sono cambiati sia rispetto all’intensità che alle dimensioni, a causa della crisi climatica, ma anche dei cambiamenti dell’uso del territorio. Non basta aggiungere uno o due Canadair, dunque serve cambiare approccio”, spiega Gianluca Spadoni, ricercatore in Ecologia del fuoco all’Università di Torino. “Ma se il fuoco è un problema può essere anche la soluzione: in condizioni controllate si dà fuoco a porzioni di territorio in modo strategico, che servono sia a ridurre la quantità di combustibile sia a creare una frammentazione del paesaggio creando discontinuità.

Fuoco prescritto: una possibile soluzione?

Lo strumento del fuoco prescritto, come spiega uno studio pubblicato nel 2025 su Communications Earth & Environment (LINK) fa parte dell’approccio della “Gestione Integrata degli Incendi” (o IFM), che combina prevenzione, risposta agli incendi e recupero degli ecosistemi integrando aspetti ecologici, economici, sociali e culturali, adattandosi a specifiche condizioni del territorio. Contrastando la percezione diffusa che il fuoco debba essere soppresso a tutti i costi, come se fosse un artefatto controllabile, prevede invece l’uso di incendi in condizioni meteorologiche pianificate a bassa intensità. Non esistono però politiche o programmi IFM standardizzati in nessun Paese europeo e anche in Italia”, continua Spadoni, “il fuoco prescritto si fa solo in maniera sperimentale (in Toscana, Piemonte, Sicilia), non è permesso se non in questo modo, ci sono ancora molte difficoltà anche culturali”. “Il fuoco prescritto può essere solo uno strumento, e tra l’altro va ricordato che è una pratiche avversata dalla popolazione, è anche facile prendere denunce”, sostiene Costantino Sirca. “In Sardegna, per fare un esempio, il pascolo può fare moltissimo, ad esempio nella riduzione del carico di combustibile che può prendere fuoco. E funzionerebbe molto lavorare con ricette locali, cioè con piccole attività che conoscono bene il territorio: coinvolgendo i sindaci, il corpo forestale, i carabinieri forestali etc”.

Le risposte: prevenzione e previsione

Al di là del fuoco prescritto, la risposta agli incendi di oggi si chiama prevenzione, anche se, ricordano gli esperti, non esiste una ricetta unica – non può esistere un piano di prevenzione antiincendio nazionale che funzioni ovunque – perché i territori e i contesti socio economici sono diversissimi. “Si possono ad esempio fare dei viali tagliafuoco; utile anche ripulire porzioni di territorio per creare appunto discontinuità e impedire la propagazione degli incendi, anche se i tratta a volte di operazioni difficili anche perché parte dei territori appartengono a privati”, spiega Spadoni. “In generale l’abbandono del territorio ma anche delle foreste, dove si accumula biomassa, non aiuta”. Per fare prevenzione, spiega lo studio su Communications Earth & Environment, serve, oltre alla pianificazione e a quadri giuridici chiari, formare i professionisti del fuoco, i gestori del territorio, i politici, le comunità locali, i soccorritori, creando comunità “fire wise”. Fondamentale anche adattare le strategie in base ai feedback ricevuti, condividere le conoscenze, rivalutare i piani di azione in base alle lezioni apprese.

I mega incendi, in conclusione, richiedono un ripensamento delle strategie di gestione degli incendi. L’attuale sistema per cui le risposte dirette agli incendi boschi ricevono oltre la metà dei fondi, mentre la prevenzione riceve meno dell’1%, non funziona più. “Non possiamo eliminare completamente gli incendi”, conclude Sirca, perché “hanno anche benefici per la biodiversità e garantiscono che le foreste non accumulino carburante”. Ma gestirli in maniera del tutto nuova rispetto al passato sì. E anche porre attenzione nei luoghi in cui andiamo, ad esempio, in vacanza: “Scegliere territori in cui c’è un’attenzione più grande verso una gestione sostenibile del territorio”, spiega Spadoni, “porta con sé un rischio minore: regioni come la Puglia e la Toscana investono molto sul tema della prevenzione degli incendi. Insomma, tutto dipende dalla gestione”. Ci sono poi numerosi database per verificare dove si sono verificati gli incendi. Su scala globale il Global Fire Atlas, su quella europea l’ European Forest Fire Information System (EFIS: un database con gli incendi che si sono verificati in Europa dal 2000), per l’Italia invece un dataset creato dall’Università di Torino.

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