Connessioni in note a Gioiosa Ionica con The Originals

  • Postato il 27 agosto 2025
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Connessioni in note a Gioiosa Ionica con The Originals

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The Originals al Gioiosa Percussioni Festival un progetto che celebra la forza della musica come ponte tra generazioni e culture con l’unione di Africa Unite e The Bluebeaters


Due storie, dieci musicisti, un’unica vibrazione. Quarant’anni di reggae italiano e trent’anni di ska e rocksteady si fondono per dar vita a The Originals, un progetto che celebra la forza della musica come ponte tra generazioni e culture. Questa sera Gioiosa Ionica si prepara ad accogliere un concerto che promette di diventare memorabile: Africa Unite e The Bluebeaters saliranno insieme sul palco della IX edizione del Gioiosa Percussioni Festival – musica per l’integrazione per un’esibizione che promette di trasformarsi in una grande festa collettiva, con dieci musicisti pronti a intrecciare esperienze, sonorità e visioni.

The Originals è un gruppo con due anime, quella delle due formazioni da cui è nato, con radici nella cultura giamaicana. Due gruppi che negli anni hanno seguito un percorso proprio per poi ritrovarsi per celebrare un’amicizia, oltre che una storia musicale che ha fatto cantare e ballare diverse generazioni.
Sul palco non ci saranno confini: i brani delle due band si alterneranno in un flusso continuo dando vita a una scaletta che mescola classici, rivisitazioni e sorprese. Quelle degli Africa Unite e dei The Bluebeaters sono due storie che hanno fatto scuola.

Nati nel 1981 sulle orme di Bob Marley, gli Africa Unite sono nome di riferimento del reggae italiano. Da People Pie a Babilonia e Poesia, dai tour in Europa ai lavori degli ultimi anni come Non è Fortuna e Uomini, hanno sempre pensato alla musica come strumento di riflessione sociale, usando coerenza ma aprendosi anche a contaminazioni.
The Bluebeaters, invece, sono nati nel 1993 dall’incontro di musicisti provenienti da Africa Unite, Casino Royale e Fratelli di Soledad. Dopo l’era di Giuliano Palma, la band ha trovato un nuovo twist con Pat Cosmo Benifei alla voce, proseguendo con album originali e collaborazioni fino agli ultimi lavori come Shock! e Extra Trax.

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Africa Unite è nata più di 40 anni fa: com’era fare reggae in Italia nei primi anni ‘80?

«All’inizio era un’avventura. Negli anni ‘80 in Italia cominciavano a emergere esperienze nuove, soprattutto a Firenze con la new wave, mentre a Torino – dove siamo nati – c’era un fermento legato anche a esperienze più punk che si intrecciavano al reggae, come accadeva in Inghilterra. All’epoca i club erano pochi e le occasioni limitate, ma grazie all’autoproduzione e alla tenacia siamo riusciti a costruire un nostro percorso. Negli anni ‘90, poi, è venuta fuori la vera natura degli Africa Unite e, passo dopo passo, ci siamo consolidati».

Avete sempre mantenuto una forte componente sociale e politica nei testi: oggi la musica può ancora cambiare qualcosa?

«Credo che la musica difficilmente possa cambiare davvero le cose. Può però lanciare messaggi, stimolare riflessioni, aprire sguardi. Oggi vedo meno attenzione da parte di molti artisti: un tempo si affrontavano i temi sociali con maggiore consapevolezza, oggi c’è più superficialità. Sarebbe bello pensare che una canzone possa cambiare il mondo, ma purtroppo viviamo in un momento segnato da violenza e guerre».

Ci sono collaborazioni che ti hanno lasciato un segno particolare?

«Parallelamente agli Africa Unite ho portato avanti anche un percorso solista, con sonorità elettroniche e industriali, realizzando colonne sonore e collaborando come produttore. Una delle esperienze più significative è stata con Franco Battiato (Melacca), un artista che considero tra i grandi compositori e interpreti della musica italiana. In generale ogni collaborazione lascia qualcosa, ma alcune restano pietre miliari personali».

Com’è nata l’idea di The Originals e cosa vi ha convinto a reinterpretare i vostri stessi brani?

«L’idea è nata dall’amicizia. Nel corso degli anni ci siamo ritrovati a suonare insieme in tante formazioni, spesso condividendo palchi e percorsi. Abbiamo così deciso di mettere insieme le esperienze, selezionare alcuni dei nostri brani più rappresentativi e reinterpretarli tutti insieme. Ne è nato uno spettacolo di due ore, con dieci musicisti sul palco: una vera festa che racconta anni di musica e di vita».

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Come nacque il progetto The Bluebeaters nei primi anni ‘90?

«The Bluebeaters nascono nel 1994 da un’idea di Zorro Silvestri: voleva creare una sorta di supergruppo nell’ambito della musica giamaicana, coinvolgendo alcuni di noi che provenivamo da esperienze diverse. L’idea iniziale era quella di supportare uno dei cantanti dei Casino Royale, Giuliano Palma, per una sola serata. Quella one night però andò talmente bene che decidemmo di andare avanti. Nel 1999 arrivò il primo disco autoprodotto, senza etichetta, e fu un successo sorprendente: stampammo 12mila copie e ne vendemmo 10mila in pochissimo tempo. È stato l’inizio di un’avventura che ci ha portato nel mondo della discografia e sui palchi di tutta Italia».

Cosa significa per te la fusione di due mondi musicali distinti, lo ska dei Bluebeaters e il reggae degli Africa Unite?

«In realtà i nostri mondi sono sempre stati vicini. La collaborazione con gli Africa Unite è una storia lunga: Bunna, per esempio, è stato anche nostro bassista. Siamo una sorta di famiglia allargata, legata da più di trent’anni di amicizia. Lo ska, il rocksteady e il reggae nascono dalle stesse radici giamaicane, solo declinate in forme diverse. Quello che facciamo con The Originals è esattamente questo: unire le differenze in un’unica energia condivisa».

Sul palco, qual è la sensazione di avere due band storiche fuse in un unico progetto?

«Per il pubblico è un’esperienza speciale, due mondi diversi ma simili, che si alternano senza togliere attenzione né agli Africa né ai Bluebeaters. La scaletta è costruita come un flusso unico e il fatto di avere dieci musicisti sul palco, oggi che spesso i gruppi sono ridotti all’osso, rende il concerto ancora più potente».

C’è un pezzo degli Africa Unite che hai particolarmente amato reinterpretare con The Originals?

«Un brano che mi emoziona sempre è Re senza trono, che all’epoca realizzammo con i Casino Royale. All’inizio non sembrava destinato a diventare un singolo, quasi lo sottovalutammo, ma col tempo è diventato un pezzo amatissimo. Risuonarlo oggi con The Originals gli ha dato nuova vita: in alcuni eventi, come la serata torinese “Amici di Piero”, lo abbiamo proposto con ospiti speciali ed è sempre un momento magico, che conquista tutti».

Pensi che The Originals possa diventare un progetto continuativo?

«Secondo me sì, ha tutte le potenzialità per andare avanti. Finora abbiamo portato in giro una sorta di best of delle due band, ma se ci mettessimo a scrivere e registrare materiale originale insieme credo ne verrebbe fuori qualcosa di davvero interessante e unico. Personalmente spero che questo passo arrivi presto».

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