Cosa resta degli Shaker, pionieri (involontari) del buon design. La mostra al Vitra Museum

  • Postato il 23 luglio 2025
  • Design
  • Di Artribune
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Nell’Ottocento erano alcune migliaia, distribuiti in diversi villaggi lungo la costa orientale degli Stati Uniti. Oggi sono solo due e hanno età non più verdi, ma, come titolava il New York Times in un ampio servizio dedicato a loro pubblicato nel settembre del 2024, non hanno smesso di portare avanti il loro programma utopico fondato sulle tre “c”: la confessione dei peccati, una concessione molto rigida del celibato e una vita vissuta in comunità, sacrificando il proprio ego al benessere collettivo. Sono gli Shaker, o “quaccheri agitati” – è il significato dell’espressione “shaking Quakers”, uno sfottò coniato dagli spettatori delle loro danze basate su movimenti oscillatori, che poi venne accolto col sorriso e addirittura rivendicato come soprannome -, gli ultimi adepti di un culto puritano fondato in Inghilterra intorno alla metà del Settecento da un gruppo di dissidenti quaccheri e ben presto trapiantato nel Nuovo Mondo, e noto anche come Società Unita dei Credenti nella Seconda Apparizione del Cristo

Lo “stile Shaker” e il suo ruolo nel design dal Modernismo a oggi

Se è facile che il loro nome non dica molto a chi vive fuori dal continente americano, l’eredità degli Shaker è invece conosciuta e apprezzata dagli appassionati di cultura materiale che riconoscono negli oggetti da loro immaginati e realizzati a mano – e spesso venduti, visto che l’autoindulgenza e la vanità erano viste come colpe, ma non il commercio, utile semmai a garantire il sostentamento della comunità – una purezza di linee e un equilibrio tra forma e funzione capaci di anticipare i principi del moderno design. Tra i progettisti del Novecento che furono in qualche modo influenzati dalla loro produzione, dai mobili solidi e privi di inutili orpelli, e ciononostante resi aggraziati dalle leggere curvature e dagli intrecci colorati dei tessuti, come dagli interni domestici semplici e luminosi, ci sono George Nakashima, con le sue sedie di legno dagli alti schienali e le sue panche generose, frutto di un rapporto privilegiato con la setta nato durante un lungo soggiorno nella Pennsylvania rurale, il danese Kaare Klint al quale si deve la fortuna dell’estetica Shaker in Scandinavia, ma anche diversi italiani. Maddalena De Padova, per esempio, con Achille Castiglioni e Vico Magistretti, fece conoscere lo stile dei quaccheri americani nel nostro paese con una linea di tavoli e una mostra nel suo showroom milanese. Anche Aldo Rossi, con il suo schedario Carteggio, del 1987, alto e stretto come un settimino, fa riecheggiare le proporzioni delle cassettiere degli Shaker pensate per un uso collettivo.

La mostra sul design degli Shaker al Vitra Design Museum

Il Vitra Design Museum di Weil am Rhein (in Germania, ma a pochi passi dalla svizzera Basilea), non nuovo all’organizzazione di mostre di un respiro culturale che oltrepassi gli ambiti del design e dell’architettura, dedica un approfondimento al movimento degli Shaker e alla loro eredità nel mondo contemporaneo. Aperta fino al 28 settembre The Shakers: A World in the Making (“Gli Shaker: un mondo in divenire”, o “in costruzione”) raccoglie gli oggetti più emblematici prodotti nell’alveo del culto nordamericano. Le tipiche scatole ovali in legno di ciliegio curvato a vapore e pino chiaro, fissate con chiodini di rame, per esempio, che venivano usate per conservare alimenti non deperibili o riporre il necessario per il cucito. I tavoli da lavoro, dalle dimensioni generose ma al tempo stesso facili da spostare per permettere la pulizia dei pavimenti, e spesso provvisti di ruote. Gli attrezzi da lavoro e le piccole invenzioni come la scarpa “platform” progettata intorno al 1890 per una donna con una gamba più corta dell’altra, che testimonia l’attenzione per l’inclusione di tutti membri della comunità, anche con disabilità. I contenitori e le insegne per il commercio delle sementi e dei medicinali, importanti pilastri dell’economia Shaker. Tutti questi oggetti, valorizzati da un allestimento curato dal duo Formafantasma, sono come sono perché chi li ha creati considerava la pratica del fare e la spiritualità come un solo movimento e la bellezza una conseguenza naturale, e perfino ovvia, del nitore morale. Non sono, quindi, oggetti di design in senso stretto ma riescono in qualche modo a precorrerne le logiche. 

Gli Shaker alla prova del presente

A fianco delle tante testimonianze del passato, oltre 150 tra mobili, abiti e strumenti di lavoro, troviamo le opere realizzate su commissione da sette artisti e designer contemporanei. Il loro scopo? Mostrare che la vita degli Shaker aveva molte più sfumature rispetto a quelle che potremmo immaginare – “Non volevamo fare una «brown furniture exhibition», una mostra di mobili marroni”, spiega il direttore del Vitra Design Museum Mateo Kries – e interrogarsi su quanto il loro insegnamento possa tornare utile di fronte alle sfide del presente, dalla crisi ambientale all’acuirsi delle disuguaglianze. Il video del coreografo americano Reggie Wilson, per esempio, basato su una reinterpretazione “black” delle danze degli Shaker, ricorda il fatto che il gruppo religioso accoglieva chiunque, indipendentemente dal colore della pelle, e l’esperienza di Mother Rebecca Cox Jackson, fondatrice di una comunità nera a Philadelphia. “Gli Shaker erano pacifisti e rigettavano gli stereotipi razzisti sui quali era costruita la società intorno a loro”, chiarisce Shoshana Resnikoff, curatrice del Milwaukee Art Museum. “Diedero, per esempio, un importante e poco noto contributo alla «ferrovia sotterranea» che aiutava gli schiavi a fuggire dagli stati del Sud verso il Nord o il Canada, e durante la guerra di Secessione si rifiutarono di combattere diventando così i primi obiettori di coscienza”. L’installazione dell’artista Amie Cunat reinterpreta invece le “meeting houses”, le case di riunione così importanti nella vita dei villaggi Shaker, ricostruendone una all’interno del museo e dipingendola di un blu quasi abbagliante. “Il loro mondo era un mondo colorato, malgrado conducessero esistenze frugali amavano usare il colore per infondere un tocco di umanità nelle loro architetture. È un aspetto che ho voluto enfatizzare usando su tutte le pareti una tonalità intensa di blu che di solito era riservata agli interni”, spiega l’artista.

Giulia Marani

Tha Shakers. A World in the Making
Vitra Design Museum (Weil am Rhein, Germania)
Fino al 28 settembre 2025

L’articolo "Cosa resta degli Shaker, pionieri (involontari) del buon design. La mostra al Vitra Museum" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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Artribune

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