Csm, l’ex pupillo di Cosimo Ferri verso la presidenza del Tribunale di Roma. Ma è polemica sul suo curriculum
- Postato il 29 maggio 2025
- Giustizia
- Di Il Fatto Quotidiano
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A pochi giorni dal testa a testa per la Procura di Bologna, un’altra nomina di peso spacca il Consiglio superiore della magistratura. Martedì la Quinta Commissione, competente sugli incarichi direttivi, ha proposto due nomi alternativi per il posto di presidente del Tribunale di Roma, l’ufficio giudiziario più grande d’Italia (379 magistrati in pianta organica), competente sulla maggior parte dei processi che coinvolgono la politica. E in vantaggio c’è un magistrato che la politica la conosce bene: Lorenzo Pontecorvo, 65 anni, presidente della Quinta sezione civile fino allo scorso marzo, quando ha completato il mandato di otto anni. Pontecorvo è un membro di primo piano della corrente “di destra” di Magistratura indipendente (Mi), la più vicina al governo in carica, di cui è stato prima segretario e poi rappresentante al Csm: ha un passato da fuori ruolo al ministero della Giustizia (dal 1993 al 1998) e soprattutto è stato a lungo il delfino di Cosimo Ferri, storico leader del gruppo, ex deputato di Italia viva e già sottosegretario in via Arenula – in quota Forza Italia e poi Pd – negli esecutivi Letta, Renzi e Gentiloni. A questo proposito, nel 2014 sollevò uno scandalo l’sms con cui l’allora membro del governo invitava i colleghi magistrati a votare per “gli amici” Pontecorvo e Luca Forteleoni (ora all’Autorità nazionale anticorruzione) alle elezioni del Consiglio superiore: entrambi furono poi eletti con una valanga di preferenze.
Ora, a meno di sorprese, l’ex pupillo di Ferri si avvia a chiudere la carriera da capo dei giudici romani di primo grado. In Commissione infatti ha ottenuto quattro voti su sei: oltre al suo compagno di corrente Eligio Paolini, si sono espressi per lui Ernesto Carbone, consigliere laico in quota Italia viva, e Claudia Eccher della Lega, nonché il togato Michele Forziati del gruppo “moderato” di UniCost. Si è fermata a due voti invece la proposta alternativa in favore di Giuseppe Ciampa, presidente del Tribunale di Salerno, sostenuto solo dai togati progressisti Maurizio Carbone (Area) e Mimma Miele (Magistratura democratica). A decidere nelle prossime settimane sarà il plenum, l’organo al completo. La probabile nomina di Pontecorvo, però, ha suscitato vari mal di pancia nel mondo della magistratura: il suo curriculum, infatti, appare a colpo d’occhio inferiore a quello di Ciampa, che può vantare da cinque anni la presidenza di un ufficio di grandi dimensioni. Un requisito almeno in teoria preferenziale per ottenere l’incarico, mentre l’esponente di Magistratura indipendente ha fatto “solo” il presidente di sezione (il ruolo di presidente reggente del Tribunale, ricoperto negli ultimi mesi, non può essere preso in considerazione perché successivo alla vacanza del posto). Per colmare il gap, quindi, i fautori della sua nomina hanno valorizzato le esperienze al Csm e al ministero, valutandole nel complesso prevalenti su quella del rivale a Salerno.
Nel dibattito interno alle toghe, inoltre, la vicenda ha riattizzato le polemiche sul nuovo Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, la circolare interna del Csm che detta i criteri per le nomine. Nei mesi scorsi a palazzo Bachelet è andato in scena un intenso confronto tra due proposte alternative di riforma del testo, entrambe finalizzate – sulla carta – a rendere le decisioni più controllabili e combattere le degenerazioni culminate nello scandalo Palamara. A prevalere, alla fine, è stata la linea che mantiene un certo margine di discrezionalità, mentre è stata sconfitta l’ipotesi che avrebbe previsto un inedito sistema di punteggi, capace, secondo i proponenti, di garantire la massima trasparenza alle scelte. Quella di Roma è una delle prime nomine decise sulla base del nuovo testo, le cui maglie larghe hanno consentito di “adattare” i criteri favorendo Pontecorvo a danno di Ciampa. E i sostenitori dei punteggi non mancano di farlo notare: “La sorprendente incapacità di pervenire ad una soluzione unitaria dimostra bene quanto il nuovo Testo unico sulla dirigenza – in tesi concepito per porre rimedio ai consueti arbitri – sia del tutto funzionale a perpetuare la nota politica delle mani libere“, denuncia il togato Andrea Mirenda, unico eletto senza l’appoggio delle correnti.
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