Dal massacro del 7 ottobre alla guerra a Gaza: come la crisi della Striscia ha diviso governo britannico e opinione pubblica

  • Postato il 25 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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La divaricazione fra il governo britannico e l’opinione pubblica sul conflitto a Gaza è iniziata molto presto, con una immediata mobilitazione di attivisti e popolazione contro l’invasione e il bombardamento di Gaza mentre l’esecutivo sosteneva le ragioni di Israele. Già il 9 ottobre, due giorni dopo il massacro del 7 da parte di Hamas, I pacifisti di Stop the War Coalition e gli attivisti della Palestine Solidarity Campaign hanno organizzato una prima marcia nel centro di Londra, conclusa di fronte all’Ambasciata Israeliana, che ha visto la partecipazione di migliaia di persone. Ed è stata la prima di decine di manifestazioni per la pace in tutto il paese, generalmente senza incidenti e molto partecipate, come quella dell’11 novembre con oltre 300mila persone in marcia.

Eventi meno popolari si sono tenuti anche in supporto ad Israele, con la richiesta di rilascio degli ostaggi e, nel novembre 2023, una marcia di denuncia dell’aumento dei casi di antisemitismo, con circa 60mila partecipanti. Il governo britannico, dopo il 7 ottobre 2023, ha mantenuto il sostegno militare ad Israele malgrado le critiche via via meno timide alle sue politiche. Sotto i conservatori, fino a luglio 2024, il Regno Unito ha giustificato le forniture di componenti per F-35 (15% del totale, 336 milioni di sterline dal 2016) e il supporto indiretto (voli RAF e forze speciali) come parte del diritto di Israele all’autodifesa, evitando condanne dirette alle operazioni a Gaza.

Con il governo laburista di Keir Starmer, il ministro degli Esteri David Lammy ha sospeso 30 licenze di esportazione di armi su 350 nel luglio 2024 per rischi di violazioni del diritto internazionale (ma la valutazione legale era stata avviata dal suo predecessore, il conservatore David Cameron) ma le forniture per F-35 e l’addestramento militare sono proseguite, provocando le critiche do Amnesty International e altre organizzazioni per I diritti umani. Il 10 giugno 2025 si è raggiunto il punto di massima frizione: il Regno Unito ha imposto sanzioni ai ministri israeliani di estrema destra Itamar Ben-Gvir (Sicurezza Nazionale) e Bezalel Smotrich (Finanze), congelando i loro beni e vietandone l’ingresso per “incitamento alla violenza estremista e gravi abusi dei diritti umani” contro i palestinesi, in coordinamento con Australia, Canada, Nuova Zelanda e Norvegia. Queste sanzioni, criticate dagli Stati Uniti, hanno segnato un irrigidimento diplomatico, ma non sono state accompagnate dalla sospensione totale del sostegno militare a Israele, e l’esecutivo ha poi sostenuto gli attacchi israeliani all’Iran.

Con Gaza intrappolata in una crisi umanitaria che sembra non avere fine, la società civile britannica ha alzato la voce, riempiendo strade, palchi e pagine di proteste e appelli. Scrittori come Zadie Smith e Sally Rooney si sono schierati con Writers Against the War on Gaza, firmando petizioni e partecipando a eventi pubblici dove leggono poesie e chiedono il boicottaggio di festival legati a Israele. Nel 2024, una lettera firmata da oltre 1.000 autori ha messo il governo britannico sotto pressione, con la richiesta di uno stop alle esportazioni di armi e di un’inchiesta internazionale sul conflitto.

Musicisti e artisti hanno trasformato i loro spazi in piattaforme di denuncia. I casi di Kneecap e Bob Vylan sono più emblematici di una tensione crescente. Il trio hip-hop irlandese Kneecap si è visto accusare di terrorismo per una bandiera associata a Hezbollah, con UKLFI che ha fatto cancellare i loro concerti. Bob Vylan, con i suoi slogan incendiari a Glastonbury, ha scatenato polemiche, indagini di polizia e la revoca dei visti per gli Stati Uniti. La BBC, che ha trasmesso l’esibizione, è finita sotto attacco da UKLFI e ha ammesso che avrebbe dovuto interrompere la diretta, attirandosi critiche per aver ceduto alle pressioni. I Massive Attack, da sempre politicamente attivi, hanno appena creato l’Ethical Syndicate Palestine insieme a Brian Eno e Kneecap, per proteggere chi prende posizione da gruppi come UK Lawyers for Israel (UKLFI), pronti a trascinare gli artisti in tribunale. Il loro EP Ceasefire del 2023, con Young Fathers e Fontaines D.C., ha raccolto fondi per Medici Senza Frontiere a Gaza. Damon Albarn, con Africa Express, ha usato la musica per parlare di identità palestinese. Bob Vylan, a Glastonbury 2025, ha urlato slogan come “Free Palestine” e “Death to the IDF”, finendo nel mirino con indagini di polizia e visti americani revocati. È un terreno minato, dove la libertà di espressione si scontra con accuse pesanti.

Palestine Action, attivo dal 2020, è un gruppo britannico che usa azioni dirette per fermare la fornitura di armi a Israele, puntando su Elbit Systems, accusata di fornire droni e tecnologia per Gaza. Le loro proteste includono occupazioni di fabbriche, blocchi stradali e sabotaggi, come l’attacco del giugno 2025 alla base RAF Brize Norton, dove hanno danneggiato due aerei con vernice rossa (7 milioni di sterline di danni), o il furto di busti di Chaim Weizmann a Manchester nel 2024. Con oltre 100 arresti tra 2024 e 2025, il gruppo è stato dichiarato organizzazione terroristica il 5 luglio 2025 dalla ministra Yvette Cooper, nonostante un rapporto di intelligence ne riconoscesse la natura prevalentemente legale. La decisione, sostenuta da 385 parlamentari, è stata confermata dopo un fallito ricorso legale.

Da allora, la repressione ha colpito anche sostenitori non violenti: il 5 luglio, 29 persone, tra cui un prete di 83 anni, sono state arrestate a Londra per cartelli con scritto “I support Palestine Action”. Il 12 luglio, altri 41 fermi nella stessa piazza, e il 19 luglio oltre 100 arresti in città come Manchester, Bristol e Truro, per forme non violente di supporto al gruppo, come indossare una maglietta o reggere un poster con il suo nome. Ma la repressione sta provocando una reazione di sdegno sia da parte di attivisti dei diritti civili che denunciano un attacco alla libertà di espressione che da parte di settori sempre più vasti del pubblico, mentre il 55% dei britannici disapprova le azioni militari israeliane a Gaza.

E le pressioni crescono anche dentro il partito laburista al governo. Il 10 luglio 60 deputati laburisti, tra cui figure di spicco come Stella Creasy, Clive Lewis e i copresidenti di Labour Friends of Palestine, Sarah Owen e Andrew Pakes, hanno firmato una lettera al ministro degli Esteri David Lammy chiedendo il riconoscimento immediato dello stato palestinese in risposta ai piani del ministro della difesa israeliano di trasferire forzatamente i civili di Gaza a Rafah, descritti come “pulizia etnica”. Emily Thornberry, presidente della commissione Affari Esteri, ha sottolineato l’urgenza di agire insieme alla Francia e ricordato che senza mosse rapide non rimarrà nulla da riconoscere. Ma Keir Starmer, vicino agli Stati Uniti, frena, sostiene sia preferibile un riconoscimento coordinato con alleati occidentali “al momento di massimo impatto”, una posizione che ha irritato parte del partito, con accuse di temporeggiare mentre Gaza affonda.

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