Dalla tassa minima discussa al G20 all’Ue, dalla Francia agli Usa: ecco il dibattito globale sulla tassazione dei ricchi che Meloni ignora
- Postato il 8 novembre 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Le patrimoniali? Idee della sinistra che “con la destra al governo non vedranno mai la luce”. Così Giorgia Meloni ha liquidato l’idea di una tassa sulla ricchezza, parlandone come se si trattasse di una reliquia ideologica. Ma, dalla Francia agli Stati Uniti e nei summit delle principali economie mondiali riunite nel G20, il dibattito fiscale si muove in direzione opposta: la tassazione dei grandi patrimoni è ormai considerata da economisti e istituzioni internazionali una leva di equità ed efficienza. Tutt’altro che un tabù.
I miliardari pagano meno tasse di un lavoratore dipendente
Il punto di partenza è che, mentre le fortune si concentrano sempre di più nelle mani di pochi, molte analisi hanno dimostrato come i super ricchi versino (in proporzione) meno tasse rispetto al resto della popolazione. Tra il 1995 e il 2022, calcola l’Ocse, la quota di ricchezza detenuta dallo 0,001% più ricco nelle economie mondiali è più che raddoppiata, salendo al 6,9%. Ma il carico fiscale che sopportano è rimasto infinitesimale. L’EU Tax Observatory fondato dall’economista Gabriel Zucman ha stimato che i miliardari pagano ogni anno imposte pari in media allo 0,3% del loro patrimonio netto, mentre grazie ai loro investimenti intascano rendimenti netti superiori al 7%. Dagli Stati Uniti all’Italia, passando per Francia e Paesi Bassi, le aliquote effettive che gravano sui più abbienti sono molto inferiori rispetto a quelle applicate a un contribuente medio, compresi quelli che vivono del proprio stipendio: quando si arriva al vertice della piramide, insomma, i sistemi fiscali tendono a diventare regressivi. Un paper di Matteo Dalle Luche, Demetrio Guzzardi, Elisa Palagi, Andrea Roventini e Alessandro Santoro ha rivelato che in Italia il top 0,1%, empireo in cui si trova chi ha un patrimonio medio sopra i 15 milioni di euro, paga un’aliquota effettiva del 32%, sotto quella applicata ai redditi tra 28mila e 50mila euro. Per questo, secondo Zucman, è necessario riequilibrare il sistema facendo sì che chi ha di più contribuisca al bilancio pubblico versando almeno una quota minima della propria ricchezza.
La proposta di una tassa minima globale sui miliardari
Nel giugno 2024, su richiesta della presidenza brasiliana del G20, l’economista ha quindi presentato un piano per introdurre una tassa minima globale del 2% sui patrimoni netti di chi possiede più di 1 miliardo di dollari. Secondo le stime dell’EU Tax Observatory, il prelievo colpirebbe circa 3.000 ultra-ricchi nel mondo e genererebbe 200-250 miliardi di dollari di gettito l’anno. Tra i principali sostenitori c’è il premio Nobel Joseph Stiglitz, ora presidente del comitato di esperti del G20 sulle disuguaglianze che nel recente rapporto commissionato dalla nuova presidenza sudafricana del forum dei Paesi più industrializzati chiede tra il resto una riforma del sistema fiscale internazionale per far sì che multinazionali e super ricchi siano tassati in maniera efficace. Con i proventi dovrebbero essere finanziati beni pubblici globali come sanità, istruzione e transizione verde. Anche l’Ocse, in un rapporto presentato al G20 Finanze di Rio, ha invitato i governi a “rafforzare la tassazione sui redditi più alti e sulla ricchezza” per garantire equità, fiducia e sostenibilità di bilancio. I leader del G20, compresa Giorgia Meloni, pur non recependo integralmente la proposta della tassa globale si sono impegnati ad “assicurare che gli individui con un patrimonio netto molto elevato siano tassati in maniera efficace“.
Il dibattito francese sulla Zucman taxe
Ispirandosi al lavoro di Zucman e alle precedenti analisi di Thomas Piketty ed Emmanuel Saez, che da anni sostengono la necessità di una tassa sulla ricchezza per ridurre la concentrazione patrimoniale e finanziare la transizione ecologica, in Francia il gruppo Ecologiste et social ha depositato lo scorso gennaio all’Assemblea nazionale una proposta di legge per una versione nazionale della “Zucman tax”. L’imposta annuale del 2% colpirebbe i patrimoni superiori a 100 milioni di euro. A pagare sarebbero 1.800 famiglie in tutto il Paese, per un gettito di almeno 15 miliardi annui. Approvata in prima lettura il 20 febbraio 2025 con 116 voti favorevoli e 39 contrari, la legge ha ottenuto l’endorsement di sette premi Nobel – insieme a Stiglitz Daron Acemoglu, George Akerlof, Abhijit Banerjee, Esther Duflo, Simon Johnson e Paul Krugman – secondo cui sarebbe lo strumento più efficace per ridurre le disuguaglianze e rafforzare la coesione sociale, oltre a fornire risorse preziose in una fase difficile per le finanze pubbliche. In settembre è tornata al centro del dibattito politico – con tanto di sgangherati attacchi da parte dell’uomo più ricco del Paese, Bernard Arnault – dopo che i Socialisti l’hanno fatta propria mettendola tra le condizioni per una “non censura” al premier Sébastien Lecornu. Poi il partito guidato da Olivier Faure si è accontentato dello stop alla riforma delle pensioni e all’inizio di novembre la misura è stata respinta dal Senato. Ma la stragrande maggioranza dei francesi è a favore: se ne riparlerà.
L’Iniziativa dei cittadini europei
Nel 2023 Piketty, insieme ad altri economisti, europarlamentari e attivisti come Marlene Engelhorn (Millionaires for Humanity), ha lanciato l’Iniziativa dei cittadini europei “Tax the Rich” per chiedere alla Commissione europea di introdurre una tassa minima sui grandi patrimoni destinata a finanziare la transizione ecologica e a ridurre le disuguaglianze. Oxfam, che ha promosso l’iniziativa in Italia, ha stimato che applicandola solo allo 0,1% più ricco, cioè a chi ha patrimoni netti superiori a 5,4 milioni di euro, e applicando aliquote dell’1,7% tra 5,4 e 8 milioni, 2,1% tra 8 e 20,9 milioni e 3,5% sopra i 20,9 milioni, il fisco italiano potrebbe raccogliere 15,7 miliardi l’anno. Estendendo la platea allo 0,5% più ricco (circa 250mila persone con patrimoni netti di almeno 2,3 milioni), il gettito salirebbe a 23 miliardi. Da notare che in entrambi i casi il prelievo sarebbe più limitato rispetto a quello ipotizzato dal leader Cgil Maurizio Landini, che all’epoca della raccolta firme non si era espresso. La campagna non ha poi raggiunto il traguardo del milione di sottoscrizioni necessarie perché la Commissione esaminasse la proposta. Da Bruxelles è in compenso arrivato nel frattempo un esplicito sostegno al lavoro del G20 in vista di “una politica di tassazione efficace e progressiva”.
Il Manifesto italiano degli economisti
Intanto in Italia in un gruppo di 134 economisti ha messo nero su bianco che il sistema fiscale attuale, risultato di 50 anni di erosione della base imponibile Irpef, è estremamente iniquo per i lavoratori e i pensionati. E per sanare quelle iniquità è necessaria un’imposta progressiva sulle grandi ricchezze sopra i 5,4 milioni, da affiancare ad altri interventi come l’abolizione delle flat tax, la revisione del prelievo sui redditi e sui patrimoni immobiliari e l’aumento del prelievo sulle grandi successioni e donazioni. Il “Manifesto per un’agenda Tax the Rich”, presentato nel maggio 2024 in piena campagna per le Europee, chiedeva esplicitamente alla politica di prendere posizione. A farlo esplicitamente è stata solo l’Alleanza Verdi Sinistra. Il Pd si è diviso: l’ala più vicina a Elly Schlein si è espressa, all’Europarlamento, a favore di un intervento tipo a livello europeo, che la segretaria ha auspicato anche nei giorni scorsi, ma il partito non l’ha inserito nel proprio programma. Il timore, anche a sinistra, è che parlarne sia una kriptonite elettorale. Nonostante numerosi sondaggi abbiano rivelato come il consenso per un’imposta sui grandi patrimoni sia maggioritario. Anche tra gli elettori di centrodestra la maggioranza relativa sarebbe favorevole.
“Tax the rich” da Warren Buffet a Mamdani
Negli Stati Uniti lo slogan Tax the Rich è tutt’altro che nuovo: nato nel 2011 nelle piazze di Occupy Wall Street, riaffiora periodicamente ogni volta che cresce la rabbia per le disuguaglianze. Ed è entrato nel linguaggio della politica progressista. Con alcuni assist, a partire da quello del finanziere “oracolo di Omaha” Warren Buffett che nel 2012 ha deprecato il fatto di pagare – in proporzione – meno tasse della propria segretaria. Sotto la presidenza Obama ne è nata una proposta di legge – la Buffett rule – che avrebbe dovuto garantire che chi guadagna oltre 1 milione di dollari l’anno non paghi meno del 30% in imposte federali: non se n’è fatto nulla causa opposizione repubblicana al Senato. Nelle campagne di Bernie Sanders e Elizabeth Warren per le primarie democratiche del 2020 la tassazione della ricchezza con aliquote crescenti per finanziare programmi di welfare universale è stata un pilastro. La deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez ha poi fatto suo lo slogan declinandolo però in modo molto diverso (imposte fino al 70% sui redditi sui redditi sopra i 10 milioni di dollari). Nel 2022 l’amministrazione Biden ha messo sul piatto una Billionaire minimum income tax del 20% sui redditi totali (reali e latenti) dei contribuenti con patrimonio oltre 100 milioni di dollari, mai approvata.
Ora al centro del dibattito c’è l’agenda del nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani, nemesi del presidente Donald Trump che in estate ha incassato la proroga dei tagli fiscali a favore dei ricchi approvati durante la sua prima presidenza. Il 34enne democratico socialista intende finanziare il suo programma sociale da 10 miliardi di dollari l’anno anche con una sovrattassa del 2% sui redditi personali oltre 1 milione di dollari, che colpirebbe circa 34mila famiglie per un gettito da 4 miliardi di dollari. Tradurre in pratica la suggestione non sarà facile: i sindaci non hanno potere d’imposta autonomo. Possono fare proposte, ma ogni modifica delle aliquote sul reddito o sulle società è appesa al via libera del governatore dello Stato e del Parlamento statale. Mamdani dovrà dunque, l’anno prossimo, trovare un accordo con la governatrice dem Kathy Hochul e con i capigruppo di Senato e Assemblea. Intanto dall’altra parte del Paese, in California, è in corso la raccolta firme per un referendum sulla “Billionaire Tax”, un’imposta una tantum del 5% sulla ricchezza dei 200 miliardari residenti nello Stato in cui hanno sede le maggiori Big tech. L’iniziativa, promossa da sindacati e gruppi per la sanità pubblica, punta a finanziare programmi sociali e ambientali. Se verranno raccolte più di 870mila sottoscrizioni, tra un anno i cittadini potranno dire dire la loro.
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